In caduta libera.
Triste risveglio madridista. Come detto, Champions e Liga sono due mondi distanti… e la sconfitta di ieri del Real Madrid esemplifica nel migliore dei modi questa diversità. La scioltezza di manovra, l’allegria, la brillantezza delle partite con Sporting e Betis sono presto evaporate al confronto con un Liverpool appena limitatosi al compitino, esattezza quasi matematica nel coprire gli spazi della propria metacampo e cinismo nello sfruttare l’episodio che ha deciso una partita altrimenti indirizzatissima verso uno 0-0 che al Madrid sarebbe andato benone.
La nota dominante della partita è stata l’impotenza offensiva dei padroni di casa: il Liverpool ha chiaramente optato per cedere il pallone e giocare di rimessa e, sebbene gli uomini di Benítez non abbiano trovato sfogo in contropiede (giusto un’ occasione per Torres e qualche situazione di incertezza dagli incroci fra Benayoun e Kuijt nella zona di un sempre incerto Heinze), non ha mai minimamente sofferto durante i 90 minuti.
Terribilmente piatto il 4-4-2 madridista, circolazione di palla lentissima, Lass e Gago laboriosi ma esclusivamente in orizzontale (quando l’argentino arrischia qualche lancio un po’ più lungo sbaglia spesso, siamo alle solite), Liverpool sempre in superiorità nella zona della palla, specie su Robben, niente gioco tra le linee a parte qualche tentativo di taglio senza palla di Marcelo dalla sinistra, poco assecondato, e una sterile percussione verso il centro di Robben. Higuaín e Raúl persi in una zona di nessuno, non dialogano (l’argentino, ancora una volta deludente in ambito europeo, fa la guerra per conto suo, sceglie sempre male le giocate e si muove poco intelligentemente senza palla; il capitano invece più semplicemente non la tocca) e non danno profondità, permettendo alla difesa del Liverpool di accorciare comodamente verso il centrocampo, evitando qualsiasi tipo di situazione scabrosa nella propria area.
Juande evidentemente si accorge che così non si va da nessuna parte e nella ripresa si gioca un cambio certo criticabile a posteriori, ma che va compreso nella sua intenzione di dare un briciolo di spessore offensivo: Guti per Marcelo. Si cerca cioè uno capace di verticalizzare, e si cerca anche di replicare in scala minore quanto proposto con Betis e Sporting. Cioè un triangolo offensivo, non proprio un 4-3-3 alla Schuster, che tolga qualche punto di riferimento all’avversario col movimento sulla trequarti.
Higuaín e Raúl nelle ultime due gare di Liga si son trovati alla grande agendo negli spazi creati da Huntelaar, ma stavolta “Il Cacciatore” non c’è. È Raúl ora a fare la prima punta, schiacciato sui centrali del Liverpool, naturalmente senza la capacità spalle alla porta dell’olandese né la capacità di dettare il passaggio in profondità o andare a contendere palle alte nelle mischie. In pratica il Madrid non ha peso per premere sulla difesa del Liverpool, poi Higuaín continua a non capire dove si trova e cosa debba fare, Guti non si integra con Lass e Gago, non connette con gli attaccanti e resta in generale un corpo estraneo.
Così del cambio di Juande vengono fuori solo gli aspetti negativi: l’uscita di Marcelo (certo non il peggiore nel primo tempo, anzi), con Robben spostato all’ala sinistra e Higuaín in una posizione ambigua e improduttiva fra l’attacco e la fascia destra, rompe un po’ la simmetria e l’ordine che il Madrid aveva garantito nel primo tempo. Il Liverpool ha qualche spazio per uscire in palleggio e sporadicamente salire coi terzini ma, va detto, non è questa la situazione che decide la partita. Il contropiede ospite resta spento, per l’assenza di Gerrard, per le cattive condizioni di Torres e poi anche per la passività del subentrato Babel, elemento che non ha nelle corde i movimenti senza palla per distendere la propria squadra.
Così a decidere il match è uno stupido episodio, stupido per l’ingenuità di Heinze nel regalare la punizione e stupido per l’amnesia di Higuaín (ancora tu, Pipita!) che dimentica Benayoun libero di colpire in mezzo all’area. E ora… tanti auguri, signori miei!
Barça-horror ma più che mai vivo. Al nemico blaugrana invece è andata benone, tutto considerato. Considerato l’1-1 in trasferta e considerato anche che il risultato è maturato in presenza di una superiorità a tratti imbarazzante del Lione, con la barca che sembrava sul punto di affondare. La battaglia tattica Guardiola l’ha persa miseramente, questa la verità. Gli avversari hanno mangiato la foglia, e la limitatezza delle soluzioni blaugrana, per quanto straordinarie esse siano, comincia a farsi sentire. Questo perché il Barça innesca tutti gli automatismi del proprio gioco a partire dal triangolo Messi-Alves-Xavi. Limitato questo triangolo, quei pochi altri automatismi (la mezzala sinistra che va a fare l’attaccante aggiunto, blocca centrale e terzino avversario e apre il campo per Henry che resta largo) non possono mettersi in moto.
Puel, aiutato dal gol sblocca-partita di Juninho (papera di Valdes, periodaccio per lui… in certi momenti ti fa sentire solo contro il mondo quando cerchi di spiegare che si tratta di un buon portiere), ha visto vincere il proprio piano anti-Barça, tutto incentrato sulla catena di destra blaugrana: Messi viene preso in una morsa fra Makoun, Toulalan, Grosso e i due centrali (perfetta l’intesa fra un Cris monumentale e un Boumsong molto attento nell’uscire dalla linea coi tempi giusti impedendo a Messi di girarsi), non riesce a entrare in contatto col pallone e con Xavi (depotenziato all’estremo se non trova opzioni di passaggio sicure), mentre ad Alves viene lasciata un pochino di libertà in più, ma in maniera molto ben studiata: il brasiliano ha qualche metro inizialmente per avanzare, ma non ha alcuna opportunità di dialogo con Xavi e Messi (lui che è un terzino-regista più che un terzino-ala), è costretto a giocare un po’ isolato e col cross dalla trequarti come unica soluzione, mentre negli spazi lasciati dalle avanzate del brasiliano il Lione sguinzaglia “Il Mostro”, ovvero Karim Benzema, la miccia delle transizioni offensive dei francesi.
Il Barça, limitato nella propria manovra, prende un palo con Eto’o, ma è un’azione estemporanea, per il resto rischia passaggi forzati e perde brutti palloni (sottotono Busquets, in fase calante, velo pietoso invece su Yaya Touré), esponendo la propria difesa a precipitosi dietrofront e uno-contro in campo aperto da brividi (Márquez, in serata di straordinari, compie un paio di miracoli sul Mostro). Pure Benzema prende un palo con un tiro da fuori che sembra facile solo a lui, e va detto che i danni per il Barça sarebbero ben maggiori se Benzema nelle sue scorribande trovasse maggiore e migliore accompagnamento da parte di Ederson (grazioso ma non troppo consistente), Keita (mediocre) e Juninho (più presente nella sua metacampo che in quella altrui).
Il secondo tempo perde ritmo per il calo del Lione, che tuttavia mantiene le distanze giuste di fronte a un Barça sterile e intimidito nel suo possesso-palla, contratto anche dal timore di innescare contropiedi come quelli subiti nel primo tempo. L’orgoglio e il talento individuale permettono ai blaugrana di venire a capo di queste difficoltà, orgoglio e talento dell’eccellente Márquez che con uno dei suoi tipici tagli sul primo palo prolunga il calcio d’angolo dal quale nasce il pareggio di Henry. Il Barça resta in piedi e, nonostante tutto, pare l’unica spagnola in grado di concorrere per la vittoria finale.
Chi Patético e chi sfortunato. Non son riuscito a vedere l’Atlético (ho visto i gol, questo sì, e sembravano quasi quelli di una partita di Liga… e meno male che Pablo era migliorato nelle ultime gare…), ma credo di non essermi perso niente. Dalle cronache, pare essere stato il solito film: Atlético spezzato in due, squadra avversaria che gioca a piacimento etc… in questo senso anche un 2-2 casalingo è una benedizione per i colchoneros, capacissimi di andare al Dragão e farne due o incassarne quattro indifferentemente… vedremo che Atlético ci riserverà la Dea Bendata fra due settimane insomma.
Chi invece non meriterebbe di rientrare in un discorso di così severo rimprovero è il Villarreal, unica delle spagnole ad aver giocato a calcio ed unica a poter recriminare per la propria sorte. Gli uomini di Pellegrini hanno fatto il loro, hanno giocato il loro solito calcio, palleggio paziente ma senza soluzione di continuità, coralità, sovrapposizioni, movimenti senza palla sulla trequarti ed uno-due. Tutto bene fino al momento della conclusione, dove manca sempre qualcosa ai vari Rossi, Ibagaza e Cazorla, per il resto tanto bravi nel costruirsi le azioni.
Il primo tempo senza concretizzare una superiorità nettissima toglie un po’di tranquillità al Submarino, meno lucido e continuo nella propria azione con l’inizio della ripresa. Qui arriva la mazzata: ci sarà pure chi sostiene i meriti del Panathinaikos, solido, concreto e blablabla, ma la verità è che col tiro da fuori di Karagounis i greci, fin lì ordinati ma non certo impenetrabili (c’è pure un cambio di modulo fra primo tempo col 5-3-1-1 e ripresa col 4-4-1-1 dopo l’ingresso di Gabriel per Goumas), vincono un terno al lotto.
La reazione del Villarreal non si fa comunque attendere, e porta al pareggio su rigore di Rossi, rigore dubbio non per il contatto fra Pires (subentrato in cabina di regia a Eguren nel massimo sforzo offensivo di Pellegrini) e Wawrzyiniak, fuori discussione, ma per una probabile precedente spinta di Rossi allo stesso terzino polacco, che sbilanciato sullo slancio aggancia Pires.
Pareggio meritatissimo comunque, ma il Submarino non riesce ad andare oltre, in un finale nel quale ammassa giocatori nell’area avversaria ma non trova il gol da fuori con Rossi e Cazorla. Fattore-campo o non fattore-campo, il Villarreal deve ribadire la sua superiorità ad Atene: il gioco alla lunga dovrebbe premiare.
P.S:: Deportivo e Valencia completano il disastro. Nessuna spagnola rimane in Uefa, e siamo ai sedicesimi di finale.
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