giovedì, febbraio 26, 2009

In caduta libera.

Mi complimento con me stesso per aver pubblicato l’articolo sul basso livello della Liga attuale sabato scorso, smarcandomi in anticipo da eventuali accuse di opportunismo che sarebbero state fin troppo facili ove avessi usato certi toni solo dopo la scioccante due-giorni spagnola in Champions. Va detto però che se lo shock è una sensazione generalmente accompagnata da sorpresa, in questo caso tutto ciò era nell’aria. Champions e Liga risultano due mondi sempre più distanti, e ora che già da molto quello spagnolo non è il campionato più bello del mondo, non me ne uscirò certo con la storiella auto-consolatoria del fatto che comunque resta il più difficile…

Triste risveglio madridista. Come detto, Champions e Liga sono due mondi distanti… e la sconfitta di ieri del Real Madrid esemplifica nel migliore dei modi questa diversità. La scioltezza di manovra, l’allegria, la brillantezza delle partite con Sporting e Betis sono presto evaporate al confronto con un Liverpool appena limitatosi al compitino, esattezza quasi matematica nel coprire gli spazi della propria metacampo e cinismo nello sfruttare l’episodio che ha deciso una partita altrimenti indirizzatissima verso uno 0-0 che al Madrid sarebbe andato benone.
La nota dominante della partita è stata l’impotenza offensiva dei padroni di casa: il Liverpool ha chiaramente optato per cedere il pallone e giocare di rimessa e, sebbene gli uomini di Benítez non abbiano trovato sfogo in contropiede (giusto un’ occasione per Torres e qualche situazione di incertezza dagli incroci fra Benayoun e Kuijt nella zona di un sempre incerto Heinze), non ha mai minimamente sofferto durante i 90 minuti.
Terribilmente piatto il 4-4-2 madridista, circolazione di palla lentissima, Lass e Gago laboriosi ma esclusivamente in orizzontale (quando l’argentino arrischia qualche lancio un po’ più lungo sbaglia spesso, siamo alle solite), Liverpool sempre in superiorità nella zona della palla, specie su Robben, niente gioco tra le linee a parte qualche tentativo di taglio senza palla di Marcelo dalla sinistra, poco assecondato, e una sterile percussione verso il centro di Robben. Higuaín e Raúl persi in una zona di nessuno, non dialogano (l’argentino, ancora una volta deludente in ambito europeo, fa la guerra per conto suo, sceglie sempre male le giocate e si muove poco intelligentemente senza palla; il capitano invece più semplicemente non la tocca) e non danno profondità, permettendo alla difesa del Liverpool di accorciare comodamente verso il centrocampo, evitando qualsiasi tipo di situazione scabrosa nella propria area.
Juande evidentemente si accorge che così non si va da nessuna parte e nella ripresa si gioca un cambio certo criticabile a posteriori, ma che va compreso nella sua intenzione di dare un briciolo di spessore offensivo: Guti per Marcelo. Si cerca cioè uno capace di verticalizzare, e si cerca anche di replicare in scala minore quanto proposto con Betis e Sporting. Cioè un triangolo offensivo, non proprio un 4-3-3 alla Schuster, che tolga qualche punto di riferimento all’avversario col movimento sulla trequarti.
Higuaín e Raúl nelle ultime due gare di Liga si son trovati alla grande agendo negli spazi creati da Huntelaar, ma stavolta “Il Cacciatore” non c’è. È Raúl ora a fare la prima punta, schiacciato sui centrali del Liverpool, naturalmente senza la capacità spalle alla porta dell’olandese né la capacità di dettare il passaggio in profondità o andare a contendere palle alte nelle mischie. In pratica il Madrid non ha peso per premere sulla difesa del Liverpool, poi Higuaín continua a non capire dove si trova e cosa debba fare, Guti non si integra con Lass e Gago, non connette con gli attaccanti e resta in generale un corpo estraneo.
Così del cambio di Juande vengono fuori solo gli aspetti negativi: l’uscita di Marcelo (certo non il peggiore nel primo tempo, anzi), con Robben spostato all’ala sinistra e Higuaín in una posizione ambigua e improduttiva fra l’attacco e la fascia destra, rompe un po’ la simmetria e l’ordine che il Madrid aveva garantito nel primo tempo. Il Liverpool ha qualche spazio per uscire in palleggio e sporadicamente salire coi terzini ma, va detto, non è questa la situazione che decide la partita. Il contropiede ospite resta spento, per l’assenza di Gerrard, per le cattive condizioni di Torres e poi anche per la passività del subentrato Babel, elemento che non ha nelle corde i movimenti senza palla per distendere la propria squadra.
Così a decidere il match è uno stupido episodio, stupido per l’ingenuità di Heinze nel regalare la punizione e stupido per l’amnesia di Higuaín (ancora tu, Pipita!) che dimentica Benayoun libero di colpire in mezzo all’area. E ora… tanti auguri, signori miei!

Barça-horror ma più che mai vivo. Al nemico blaugrana invece è andata benone, tutto considerato. Considerato l’1-1 in trasferta e considerato anche che il risultato è maturato in presenza di una superiorità a tratti imbarazzante del Lione, con la barca che sembrava sul punto di affondare. La battaglia tattica Guardiola l’ha persa miseramente, questa la verità. Gli avversari hanno mangiato la foglia, e la limitatezza delle soluzioni blaugrana, per quanto straordinarie esse siano, comincia a farsi sentire. Questo perché il Barça innesca tutti gli automatismi del proprio gioco a partire dal triangolo Messi-Alves-Xavi. Limitato questo triangolo, quei pochi altri automatismi (la mezzala sinistra che va a fare l’attaccante aggiunto, blocca centrale e terzino avversario e apre il campo per Henry che resta largo) non possono mettersi in moto.
Puel, aiutato dal gol sblocca-partita di Juninho (papera di Valdes, periodaccio per lui… in certi momenti ti fa sentire solo contro il mondo quando cerchi di spiegare che si tratta di un buon portiere), ha visto vincere il proprio piano anti-Barça, tutto incentrato sulla catena di destra blaugrana: Messi viene preso in una morsa fra Makoun, Toulalan, Grosso e i due centrali (perfetta l’intesa fra un Cris monumentale e un Boumsong molto attento nell’uscire dalla linea coi tempi giusti impedendo a Messi di girarsi), non riesce a entrare in contatto col pallone e con Xavi (depotenziato all’estremo se non trova opzioni di passaggio sicure), mentre ad Alves viene lasciata un pochino di libertà in più, ma in maniera molto ben studiata: il brasiliano ha qualche metro inizialmente per avanzare, ma non ha alcuna opportunità di dialogo con Xavi e Messi (lui che è un terzino-regista più che un terzino-ala), è costretto a giocare un po’ isolato e col cross dalla trequarti come unica soluzione, mentre negli spazi lasciati dalle avanzate del brasiliano il Lione sguinzaglia “Il Mostro”, ovvero Karim Benzema, la miccia delle transizioni offensive dei francesi.
Il Barça, limitato nella propria manovra, prende un palo con Eto’o, ma è un’azione estemporanea, per il resto rischia passaggi forzati e perde brutti palloni (sottotono Busquets, in fase calante, velo pietoso invece su Yaya Touré), esponendo la propria difesa a precipitosi dietrofront e uno-contro in campo aperto da brividi (Márquez, in serata di straordinari, compie un paio di miracoli sul Mostro). Pure Benzema prende un palo con un tiro da fuori che sembra facile solo a lui, e va detto che i danni per il Barça sarebbero ben maggiori se Benzema nelle sue scorribande trovasse maggiore e migliore accompagnamento da parte di Ederson (grazioso ma non troppo consistente), Keita (mediocre) e Juninho (più presente nella sua metacampo che in quella altrui).
Il secondo tempo perde ritmo per il calo del Lione, che tuttavia mantiene le distanze giuste di fronte a un Barça sterile e intimidito nel suo possesso-palla, contratto anche dal timore di innescare contropiedi come quelli subiti nel primo tempo. L’orgoglio e il talento individuale permettono ai blaugrana di venire a capo di queste difficoltà, orgoglio e talento dell’eccellente Márquez che con uno dei suoi tipici tagli sul primo palo prolunga il calcio d’angolo dal quale nasce il pareggio di Henry. Il Barça resta in piedi e, nonostante tutto, pare l’unica spagnola in grado di concorrere per la vittoria finale.

Chi Patético e chi sfortunato. Non son riuscito a vedere l’Atlético (ho visto i gol, questo sì, e sembravano quasi quelli di una partita di Liga… e meno male che Pablo era migliorato nelle ultime gare…), ma credo di non essermi perso niente. Dalle cronache, pare essere stato il solito film: Atlético spezzato in due, squadra avversaria che gioca a piacimento etc… in questo senso anche un 2-2 casalingo è una benedizione per i colchoneros, capacissimi di andare al Dragão e farne due o incassarne quattro indifferentemente… vedremo che Atlético ci riserverà la Dea Bendata fra due settimane insomma.
Chi invece non meriterebbe di rientrare in un discorso di così severo rimprovero è il Villarreal, unica delle spagnole ad aver giocato a calcio ed unica a poter recriminare per la propria sorte. Gli uomini di Pellegrini hanno fatto il loro, hanno giocato il loro solito calcio, palleggio paziente ma senza soluzione di continuità, coralità, sovrapposizioni, movimenti senza palla sulla trequarti ed uno-due. Tutto bene fino al momento della conclusione, dove manca sempre qualcosa ai vari Rossi, Ibagaza e Cazorla, per il resto tanto bravi nel costruirsi le azioni.
Il primo tempo senza concretizzare una superiorità nettissima toglie un po’di tranquillità al Submarino, meno lucido e continuo nella propria azione con l’inizio della ripresa. Qui arriva la mazzata: ci sarà pure chi sostiene i meriti del Panathinaikos, solido, concreto e blablabla, ma la verità è che col tiro da fuori di Karagounis i greci, fin lì ordinati ma non certo impenetrabili (c’è pure un cambio di modulo fra primo tempo col 5-3-1-1 e ripresa col 4-4-1-1 dopo l’ingresso di Gabriel per Goumas), vincono un terno al lotto.
La reazione del Villarreal non si fa comunque attendere, e porta al pareggio su rigore di Rossi, rigore dubbio non per il contatto fra Pires (subentrato in cabina di regia a Eguren nel massimo sforzo offensivo di Pellegrini) e Wawrzyiniak, fuori discussione, ma per una probabile precedente spinta di Rossi allo stesso terzino polacco, che sbilanciato sullo slancio aggancia Pires.
Pareggio meritatissimo comunque, ma il Submarino non riesce ad andare oltre, in un finale nel quale ammassa giocatori nell’area avversaria ma non trova il gol da fuori con Rossi e Cazorla. Fattore-campo o non fattore-campo, il Villarreal deve ribadire la sua superiorità ad Atene: il gioco alla lunga dovrebbe premiare.

P.S:: Deportivo e Valencia completano il disastro. Nessuna spagnola rimane in Uefa, e siamo ai sedicesimi di finale.

Etichette: , , , ,

lunedì, febbraio 23, 2009

VENTIQUATTRESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE/2

Valladolid-Málaga 1-3: Luque 7'(M); Apoño, rig. 28'(M); Oldoni 82'(V); Nacho 87'(M).

Osasuna-Numancia 2-0: Plasil 2'; Masoud 35'.

Mallorca-Racing 1-0: Jurado 88'.

Recreativo-Almería 1-1: Camuñas 58'(R); Negredo, rig. 75'(A).

Il Málaga, la squadra che il sottoscritto aveva pronosticato come retrocessa quasi certa, tiene più che mai vivo il miracolo, assestato in zona-Uefa dopo la netta vittoria sul campo dello psicolabile Valladolid (nel quale debutta al gol il nuovo acquisto Oldoni, centravanti brasiliano prelevato dall'Atletico Paranaense).
Squadra che gioca in maniera semplice, efficace e anche abbastanza piacevole quella di Tapia, ordinata nel ripiegare dietro la linea della palla, con buoni palleggiatori come Duda (autore di una stagione enorme) e il regista Apoño (che già mi aveva favorevolmente impressionato in Segunda l'anno scorso, pur facendo soprattutto la riserva del doble pivote titolare Hidalgo-Carpintero) bravi a rilanciare l'azione, una freccia come Eliseu imprendibile quando va in campo aperto, e attaccanti rivelatisi più competitivi di quanto preventivabile in estate come Baha, Luque (recuperato su livelli decenti dopo le devastanti esperienze all'estero), più il vecchio bucaniere Salva, tornato disponibile nelle ultime partite (mentre il giovane Adrián, partito titolare a inizio stagione, sconta attualmente un infortunio piuttosto serio). Senza dimenticare Jesús Gámez e Calleja, due terzini di ottimo rendimento anche offensivo (il primo vale davvero, in prospettiva è il vice-Ramos per la nazionale, sta superando Iraola), e il solido difensore centrale brasiliano Weligton. Alla fine li ho nominati tutti, perchè tutti si stanno valorizzando oltre le aspettative (e, tranne che per Apoño e Jesús Gámez, faccio mea culpa) .

Movimenti importanti in fondo alla classifica, Osasuna e Mallorca cominciano a ingranare: gli isolani sono alla seconda vittoria consecutiva e hanno ormai trovato un undici-tipo (4-2-3-1; doble pivote Martí-Mario Suárez, Scaloni terzino destro, linea di mezzepunte Varela-Jurado-Arango dietro Aduriz... non male, a dispetto delle tante cessioni importante dell'ultima estate) dopo i troppi tentativi a vuoto del girone d'andata, ma ancora si trovano in zona-retrocessione; i navarri invece si tirano fuori dalle sabbie mobili, gara non entusiasmante (primo gol spagnolo per il giocoliere persiano Masoud) ma che basta per relegare il Numancia nel posto che, sia detto senza nessun tipo di scherno, più gli compete (poco comprensibile poi il cambio di allenatore avvenuto in settimana: Kresic non ha demeritato di certo, tanti auguri a Pacheta...).
Interlocutorio pareggio fra Recre e Almería: gli uomini di Hugo Sánchez ci hanno ormai fatto il callo a non finire le partite in 10 (ieri il rosso se l'è beccato Crusat), ma stavolta l'arbitro viene anche in loro aiuto, vedi l'incredibile penalty assegnato da Rodríguez Santiago per un fallo su Piatti che non solo avviene fuori area ma che viene viziato in origine da un controllo di mano dell'argentino.


CLASSIFICA

1 Barcelona 60
2 R. Madrid 53
3 Sevilla 44
4 Villarreal 41
5 Valencia 39
6 Málaga 39
7 Atlético 36
8 Deportivo 36
9 Athletic 31
10 Valladolid 30
11 Racing 29
12 Getafe 28
13 Almería 28
14 Sporting 27
15 Recreativo 26
16 Betis 26
17 Osasuna 24
18 Mallorca 24
19 Espanyol 21
20 Numancia 20

CLASSIFICA CANNONIERI
Eto’o 23 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 19 (Valencia, 4 rig.)
Messi 16 (Barcelona, 2 rig.)
Forlán 15 (Atlético Madrid, 2 rig.)
Higuaín 14 (Real Madrid, 2 rig.)

Etichette:

DEPORTIVO-VALENCIA 1-1: Villa (V); Piscu (D).

Pareggio che non serve a nessuno. Poco gioco e molta qualità individuale per un Valencia comunque più sobrio rispetto alle ultime uscite, Depor che gioca anche bene, in alcuni tratti persino benone, ma privo di forza d’urto in attacco.

Lotina preserva il Mago Valerón per la rimonta disperata di giovedì in Uefa, quindi nel suo 4-3-2-1 Verdú scala a fare il trequartista con Lafita, mentre il canterano Lassad (ineleggibile per l’Uefa) viene confermato al centro dell’attacco. Emery perde Albelda, ma presenta l’importantissimo ritorno di Alexis.
L’approccio del Depor alla gara è ottimo, l’intenzione di imporre il proprio gioco è chiara e viene sviluppata armoniosamente. I padroni di casa pressano l’inizio dell’azione dei difensori valenciani, costringendoli a errori in alcuni casi veramente goffi, e in fase di possesso mostrano una manovra piacevole, ad ampio respiro, ottime trame palla a terra, movimento e sovrapposizioni in abbondanza.
Dopo l’invenzione del 5-4-1 la stagione passata, l’asso nella manica di Lotina questa volta è il 4-3-2-1. Ancora una volta il pretesto è l’infortunio di Guardado: tolto l’esterno sinistro, Lotina lascia due mezzepunte senza una posizione fissa, infoltendo la mediana con tre centrali molto stretti. Questi tre centrali a centrocampo tendono a creare un vantaggio strategico, impegnando i centrocampisti avversari (generalmente due centrali in un 4-4-2, quindi facilmente esposti all’inferiorità numerica) e liberando di conseguenza gli spazi per i trequartisti. Modulo pensato anche per reinserire Valerón risparmiandogli lavoro in copertura, ma che anche in assenza del canario ha il pregio di liberare sempre un giocatore in possesso del pallone, offrendo opzioni di passaggio comode a tutto vantaggio della fluidità di manovra.
La risorsa principale del Depor è la propria fascia sinistra, dove costruisce una fruttuosa superiorità: c’è Filipe che sale costantemente ed è una sorta di regista aggiunto, c’è Lafita che gravita prevalentemente in quella zona, e in più c’è l’attivissimo Lassad che costantemente taglia dal centro verso sinistra, fra terzino e centrale, chiamando Alexis fuori dalla propria zona e creando opportunità per gli inserimenti a rimorchio dei centrocampisti. Lassad fa tutto bene, Verdú e Juan Rodríguez si inseriscono con continuità in area di rigore, ma il Depor punge pochissimo in rapporto alla mole di gioco prodotta, si contano un’incursione di Filipe smarcato da Lassad e qualche tiro da fuori sbilenco.
Così a passare è il Valencia, velenosissimo nel suo attacco anche senza giocare: è un regalo del Depor il gol del vantaggio ospite, un retropassaggio sciagurato di De Guzman, ma Villa ha talmente tanta classe da riuscire a convertire un gol potenzialmente banalissimo in un gran bel gol. Subito lo svantaggio, il Depor continua a fare la partita, senza creare granchè a parte i numeri palla al piede di Lassad, e rischiando anzi qualche contropiede, perché con Lassad a svuotare l’area e Verdú e Juan Rodríguez a riempirla una volta sì e l’altra pure, ad Antonio Tomás in qualche momento rimangono troppi metri da coprire, senza grosse conseguenze negative comunque.
Nella ripresa l’iniziativa del Depor perde vigore, i galiziani sembrano ormai attaccare più per dovere che per convinzione, le occasioni non ci sono e nemmeno l’ingresso dei vecchi saggi, Sergio e Valerón, sembra poter dare il salto di qualità, anche perché il Valencia rispetto al primo tempo sembra meglio raccolto nella propria metacampo, con la linea delle mezzepunte più vicina in copertura alla difesa e al doble pivote.
Ma gli ospiti, in dieci per una seconda ammonizione eccessivamente severa a Villa, pagano infine uno dei loro maggiori punti deboli: Piscu approfitta della fragilità sui calci piazzati degli uomini di Emery, guardacaso quell’Emery che aveva fatto del suo Almería la squadra più efficace della scorsa Liga in questa situazione di gioco. Finale vivace, entrambe le squadre cercano la vittoria, il Valencia ci prova generosamente nonostante l’inferiorità numerica, Baraja sfiora il gol da fuori, Lassad prende l’esterno della rete al termine di un’azione confusa, ma il tabellone non si smuove.

I MIGLIORI: Una rivelazione Nouioui Lassad, sbucato a 22 anni dal Deportivo B che lo aveva acquistato nel mercato invernale della scorsa stagione: ci si chiede perché questo attaccante francese di origini maghrebine sia venuto fuori così relativamente tardi, e se non ci sia il trucco, visti i colpi da funambolo mostrati stasera.
Attaccante di stazza ma mobilissimo, estremamente agile nei movimenti, dotatissimo nel controllo in corsa, capace di numeri di alta scuola nell’uno contro uno, doppi passi e giocate con la suola. Grande predisposizione al dialogo con le mezzepunte, efficace nel proporsi tra le linee e soprattutto ad allargarsi sulla fascia sinistra per creare situazioni di superiorità numerica. Non staziona quasi mai in area di rigore, visto stasera ha più le caratteristiche tattiche di un Ibrahimovic che quelle della prima punta. Per il resto, solita grande partecipazione al gioco di Filipe e Lafita, cardini della manovra galiziana.
I PEGGIORI: Un po’titubante la coppia Alexis-Marchena, da tempo in calo Mata.

Deportivo de La Coruña (4-3-2-1): Aranzubia 6,5; Laure 6, Lopo 6, Piscu 6,5, Filipe Luis 7; Juan Rodríguez 6(Valerón s.v.; m.65),, Antonio Tomás 6(Sergio 6; m.70), De Guzmán 5,5; Verdú 6, Lafita 6,5; Lassad 7(Bodipo s.v.; m.88).
Valencia (4-2-3-1): César 6; Maduro 6, Alexis 5,5, Marchena 5,5, Del Horno 6; Fernandes 5,5, Baraja 6; Joaquín 6(Míchel s.v.; m.63), Silva 6 (Morientes; m.78), Mata 5,5; Villa 6,5.

Goles: 0-1; m.25, Villa. 1-1; m.78, Piscu.
Árbitro: Pérez Burrull, del colegio cántabro. Expulsó por doble amarilla al valencianista Villa (m.76). Además, mostró tarjeta amarilla a Alexis (m.18), Joaquín (m.38), Silva (m.41), Baraja (m.59), César (m.87), Marchena (m.87) y Míchel (m.90), por parte del Valencia; y a Lopo (m.90), por parte del Deportivo.
Incidencias: Encuentro correspondiente a la vigésima cuarta jornada del campeonato nacional de Liga, disputado en el estadio municipal de Riazor ante unos 18.000 espectadores.

Etichette: , ,

GETAFE-ATHLETIC BILBAO 1-1: Soldado (G); Llorente (A).

Primo tempo interessante, ripresa da cestinare. Risultato giusto: l’Athletic fa l’Athletic, il Getafe continua a dare l’impressione di produrre meno di quello che il suo potenziale (per intenderci, nettamente superiore a quello del Málaga super-rivelazione) gli potrebbe permettere. Un’incompiuta che sta disputando un campionato insipido, tutto qui.

Nel movimentato primo tempo i padroni di casa si fanno preferire, per la mentalità e il miglior trattamento del pallone che dimostrano. Cerca di controllare il possesso-palla e di salire in blocco nella metacampo avversaria il Getafe, Granero e Gavilán si scambiano spesso la posizione e con frequenza si accentrano per aiutare Polanski e Casquero a costruire una ragnatela di passaggi e lasciare la fascia alle ricorrenti sovrapposizioni di Cortés e Licht. Predominio che frutta una traversa di Soldado, colpo di testa su cross di Licht, e poi il meritato vantaggio, stavolta su azione da calcio piazzato, una palla a spiovere di Granero dalla trequarti, sulla quale Cata Díaz effettua un intervento un po’dubbio su Javi Martínez, che cade a terra e lascia via libera a Soldado appostato a centro area per il colpo di testa decisivo.
L’Athletic reagisce subito nel suo stile, non con trame elaborate ma con giocate dirette che vedono protagonista l’arbitro Ayza Gámez: prima un gol annullato ingiustamente all’Athletic per un fallo su Jacobo che in realtà è una papera di Jacobo, poi un rigore discretamente fantasioso per un “fallo” su Llorente: le polemiche comunque vengono soffocate sul nascere dall’errore di Iraola dal dischetto.
Il Getafe ora cerca maggiormente il contropiede di fronte a un Athletic al solito scolastico ma dotato di un’arma sempre più devastante di nome Fernando Llorente. Imbarazzante la dimostrazione di forza dell’ariete zurigorri, che su una sponda aerea di Ion Vélez doma il milionesimo pallone spalle alla porta della sua stagione, ridicolizza il tentativo di marcatura di Mario spostandolo lontano dal pallone e facendolo ruzzolare a terra, guadagna la posizione col corpo e gira a rete appena dentro l’area siglando una volta ancora un golazo da centravanti di primissima categoria.
Getafe un po’scosso, fatica a riconnettere e nel secondo tempo si arrende a un andazzo decisamente sonnolento. Son sempre gli azulones a fare la partita, ma in tutta la ripresa non riescono mai a dare ritmo e continuità alla propria azione, rassegnandosi a una circolazione di palla al rallentatore, senza sostanziali scossoni nemmeno con l’ingresso di Albín. È anzi un Athletic peraltro appagato dal pareggio ad andare vicinissimo al colpaccio, vanificato dal clamoroso errore sottomisura di Llorente, che smarcato sul secondo palo da un cross di Toquero e con tutto lo specchio della porta a disposizione appoggia incredibilmente fuori. Forse sarebbe stato un gol troppo banale per quelle che sono le sue abitudini recenti.

I MIGLIORI: Dominante Llorente, DO-MI-NAN-TE. Incredibile pensare all’evoluzione di questo giocatore rispetto ad appena un anno fa, da enigma e quasi-promessa mancata a giocatore che da solo condiziona tutto il gioco della propria squadra e da solo terrorizza l’intera difesa avversaria. Buona prestazione del solito Javi Martínez, sempre grande energia da una metacampo all’altra. Prestazione attenta del canterano Etxeita, nell’occasione rincalzo degli indisponibili Amorebieta e Ustaritz.
Nel Getafe il migliore è Granero, nel vivo del gioco soprattutto nel primo tempo. Giocatore che mette in cassaforte il pallone, capace di caricarsi sulle spalle la propria squadra e guidare il gioco, potenzialità evidenti anche in una stagione come questa tutt’altro che esaltante per lui. Già un po’ penalizzato dalla posizione di partenza sulla fascia destra (meglio sarebbe al centro o a sinistra per poter rientrare sul destro, come giocava l’anno scorso), nel secondo tempo esce un po’dal match perché la sua squadra perde in generale slancio. Molto attivo Cortés sia a destra che spostato a sinistra dopo l’entrata di Contra.
I PEGGIORI: Sottotono gli esterni dell’Athletic. Susaeta sparisce dopo qualche spunto a inizio partita, Yeste non si propone come dovrebbe: nella vittoria casalinga col Málaga i suoi tagli da sinistra verso il centro della trequarti avevano fruttato situazioni interessanti, una variante al gioco scolastico tutto basato sui cross dalle fasce, ma stavolta non si è visto nulla, una prestazione senza carne né pesce come quasi tutte quelle giocate da esterno dal fantasista basco.

Getafe (4-4-2): Jacobo 6,5; Cortés 6,5, 'Cata' Díaz 6, Mario 5,5, Licht 6,5(Contra 6, min.62); Granero 6, Polanski 6(Celestini s.v., min.76), Casquero 6, Gavilán 6; Uche 6, Soldado 6 (Albín 6, min.48).
Athletic (4-4-2): Iraizoz 6; Iraola 6, Aitor Ocio 6, Etxeita 6,5, Koikili 6; Susaeta 5(Gabilondo s.v., min.89), Javi Martínez 6,5, Orbaiz 6(Gurpegui s.v., min. 81) Yeste 5; Ion Velez 5,5(Toquero 6., min.59), Llorente 7.

Goles: 1-0 m.15: Soldado remata de cabeza una falta. 2-0, min 40: Llorente.
Árbitro: Ayza Gámez, del Comité Valenciano: Mostró cartulina amarilla a Mario (min. 19), Polanski (min.25), Casquero (min. 46), Contra (min. 75), Gavilán (min.78), Granero (min.75), por parte local y a Orbaiz (min. 63), Gabilondo (min.90) y Yeste (min.90) por parte visitante.
Incidencias: Partido correspondiente a la vigésima cuarta jornada de Primera División, disputado en el Coliseum Alfonso Pérez de Getafe ante cerca de 9.000 espectadores.

Etichette: , ,

domenica, febbraio 22, 2009

VENTIQUATTRESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE/1

Barcelona-Espanyol 1-2: De la Peña 50'(E); De la Peña 55'(E); Yaya Touré 63'(B).

Villarreal-Sporting Gijón 2-1: Bilic 1'(S); Rossi 1'(V); Capdevila 36'(V).

La flessione del Barça ormai è evidente a tutti, una flessione che per quanto riguarda il gioco si trascina già da un po' di partite, ma che i 5 punti persi nelle ultime due uscite hanno reso manifesta agli occhi di tutti. L'orripilante prestazione del derby di ieri è da manuale di come NON si devono affrontare partite del genere. Il Barça ha messo da parte le sue armi e ha giocato sul piano prediletto dall'Espanyol. Il Barça "normale", quello con buona fluidità di gioco e trame di gioco riconoscibili del triangolo Messi-Alves-Xavi (il punto forte e anche il punto debole dei blaugrana, nel senso che anche i muri sanno che il 90% della manovra passa da lì. In questo senso il gioco del Barça è perfettamente leggibile e prevedibile, ma data la qualità degli interpreti in questione non è mai pienamente annullabile, qualcosa nasce sempre) dura appena un quarto d'ora, il tempo per Henry di sprecare una palla gol ghiottissima (la centocinquantesima della stagione per il resto buona del francese).
Passato questo frangente, si smette del tutto di giocare a calcio, una trappola nella quale il Barça cade con tutti e due i piedi. Falli e interruzioni a ripetizione, scaramucce, offese alla mamma e accenni di rissa che non fanno altro che il gioco dell'Espanyol, non particolarmente ordinato ma molto grintoso e convinto nel difendersi.
Poi la svolta della gara, l'espulsione di Keita: sicuramente dura l'entrata del maliano, ma altrettanto sicuramente esagerata l'interpretazione di un Delgado Ferreiro oltrettutto abbastanza irritante nei suoi atteggiamenti da star della serata.
In inferiorità numerica, il Barça ci aggiunge del suo, perdendo ogni briciola di razionalità nel suo piano d'attacco, trascurando le fasce e incaponendosi in azioni testarde, disordinate e precipitose. E arrivano pure i gol dell'Espanyol, nelle prime due occasioni in cui gli ospiti affacciano la testa oltre la metacampo. De la Peña, in una stagione in cui gli acciacchi gli hanno impedito una continuità d'impiego minima, trova l'occasione per brillare nella serata di maggior prestigio: il primo gol, un inedito colpo di testa sottomisura, è merito dell'abilità nel gestire l'uno contro uno di Nené, il secondo è un imbarazzante regalo di Valdés che però "Lo Pelat" infiocchetta con un pallonetto davvero magico.
Yaya Touré accorcia le distanze, ma il Barça continua a giocare senza alcun criterio, non lo si vede proprio capace di creare palle-gol, e questo anche al di là dell'inferiorità numerica. Anche Guardiola, solitamente il più lucido di tutti, perde la testa: giusto inserire Busquets al posto di Henry dopo l'espulsione, per mantenere equilibrio a centrocampo, incomprensibile invece il cambio Eto'o-Gudjohnsen per avanzare Busquets centravanti (ruolo nel quale aveva iniziato anni fa nelle giovanili), cercando più gioco aereo e qualche possibilità in più nelle mischie, ma lasciando in panchina uno come Bojan che è pur sempre uno specialista dell'area di rigore.
Il Barça non crea nulla, se non una mischia nel finale con destro di Gudjohnsen parato da Kameni, e porta a casa una sconfitta meritata che aggiunge pressione ed è accompagnata da notizie pessime come l'infortunio ad Abidal per otto settimane (grave perchè Sylvinho lo si può usare ormai solo in gare di scarsa importanza), aggiuntosi a quello di Iniesta per le prossime due settimane (questo forse è ancora più grave, perchè il blanquito era in forma e rappresentava l'unica vera carta per attenuare la dipendenza dal triangolo Messi-Alves-Xavi).
Dell'Espanyol bisogna dire che ha fatto la sua partita, brutta sporca e cattiva ma efficace, e va detto al di là di questo che, rimanendo la manovra assai povera (dipendente dai solisti offensivi, e a questo proposito quello di De la Peña è un recupero vitale), Pochettino già da un po' di gare ha trasmesso uno spirito e una cattiveria, oltre a un pressing vigoroso, che sembravano del tutto assenti con Tintin e Mané.

Nell'altra gara della serata, che non ho visto, il Villarreal raddrizza la sua traiettoria contro il generoso Sporting. Oltre al solito magnifico Rossi (a proposito di dipendenza... se non c'è Giuseppe il Villarreal non ha proprio cambio di ritmo negli ultimi metri), da segnalare come Pellegrini stia cercando di uscire dalla crisi recente della propria squadra imbottendo la formazione di piedi buoni: nelle ultime due gare ai due tradizionali esterni/mezzepunte si sono aggiunti Ibagaza e Cani nella posizione di centrocampista centrale, con un solo centrocampista difensivo alla volta fra Senna ed Eguren. Interessante, ma occhio al Panathinaikos.

Etichette:

SEVILLA-ATLETICO MADRID 1-0: Jesús Navas.

E sono altri tre punti per il Sevilla-che-non-convince-nessuno. Sempre più proiettato in zona-Champions League, e il progetto di Del Nido (“Jiménez sarà il nostro Wenger”) assume contorni sempre più concreti ed inquietanti. Partita certo non bella ma di spessore tattico accettabile, l’Atlético meritava sicuramente il pari.

Abel “approfitta” della recente paternità di Agüero (allenatosi poco durante la settimana, parte dalla panchina) per infoltire il centrocampo con Maniche mezzala accanto a Raúl García e Paulo Assunção davanti alla difesa. Antonio López torna a fare l’esterno di centrocampo come a Huelva, Simão a destra e panchina per Maxi. Manolo Jiménez deve fare i conti con le solite assenze, in particolare quelle in attacco (Chevantón ma soprattutto Luis Fabiano), che lo costringe a lanciare in appoggio a Kanouté il giovane argentino Perotti (esordio dal primo minuto dopo uno spezzone a Montjuic), uno dei tanti canterani fra campo e panchina.
Nel primo tempo la battaglia tattica la vincono gli ospiti. Abel è stato ingaggiato per dare prima ancora di un gioco brillante equilibri solidi a quella squadra che con Aguirre finiva facilmente in inferiorità numerica in mediana; ma anche il nuovo tecnico dovrà fare i conti con lo stesso dilemma di Aguirre, sospeso fra la consapevolezza dell’importanza decisiva dei quattro solisti offensivi e quella dei possibili migliori equilibri che si potrebbero raggiungere togliendo uno di questi per aggiungere un uomo al centrocampo. Non c’è dubbio che con uno dei quattro attaccanti in meno (perché praticamente sono quattro attaccanti) l’Atlético perda incisività, ma è altrettanto vero che col “trivote” in mezzo al campo si veda una squadra più raccolta e con meno affanni quando l’avversario ha il possesso del pallone.
La gara di ieri sera ha confermato questa tesi, presentando un Atlético ben messo in campo: non era questa l’occasione per sfoggiare la difesa altissima e il pressing ultra-aggressivo predicato da Abel, ma i colchoneros non si sono mai fatti schiacciare nella loro area. La difesa ha sempre accorciato qualche metro oltre l’area di rigore, e due-tre giocatori facevano sempre capolino nella zona della palla; buoni automatismi in copertura fra esterno-terzino e mezzala in entrambe le fasce, impeccabile Paulo Assunção nella sua funzione di correttore fra le linee.
L’Atlético non ha concesso spazi di manovra al Sevilla, ha lasciato liberi di impostare i soli Squillaci e David Prieto, bloccando loro le opzioni di passaggio e creandosi gli spazi per agire a sua volta di rimessa, soprattutto con Simão, il più attivo nel supportare Forlán, come nell’occasione divorata dall’uruguaiano, traversa a porta vuota su invito dal fondo proprio di Simão. Gli ospiti soffrono soltanto sulle palle inattive: cercano di avanzare con la difesa per mettere in fuorigioco i saltatori avversari, ma in due occasioni Squillaci su calcio d’angolo e Fazio su punizione dalla destra staccano più in alto e mettono qualche brivido a Leo Franco.
Il secondo tempo prosegue equilibratissimo. Succede poco: Jiménez cerca l’elettricità di Acosta al posto di un Perotti un po’spaesato, Abel (che ha dato spazio a Maxi a inizio ripresa) vede invece qualche metro di troppo ceduto al Sevilla nonostante i suoi continuino a mantenere ordinatamente le posizioni difensive, così getta nella mischia Agüero, non al posto di Forlán ma di Maniche, per cercare di riportare un po’ più avanti il baricentro con le due punte. La mossa sembra funzionare, il Kun sembra pure ispirato e con un paio di belle giocate in contropiede obbliga il Sevilla a guardarsi le spalle. I pericoli sembrano sufficientemente lontani, il Sevilla anche quando staziona più a lungo nella metacampo avversaria manca di peso (si sente la mancanza del Fabuloso, anche di quello discontinuo di questa stagione; quando Kanouté viene incontro a prendere palla come ama, non rimane nessuno a impegnare i centrali dell’Atlético), ma una bella trovata sull’asse Fazio-Navas (l’argentino, servito dal neo-entrato canterano José Carlos, trova il passaggio filtrante che buca la difesa; Navas taglia magistralmente eludendo il fuorigioco della difesa colchonera in uscita dalla propria area e anticipa le intenzioni di Leo Franco con un astuto esterno destro) negli ultimi minuti regala tre punti d’oro al Sevilla.

I MIGLIORI: Navas e Fazio, non solo per il gol, sono i più convincenti nelle fila sevilliste. Non pare vero vedere Pablo su questi livelli, che non si registravano dall’ormai lontanissimo 2005. Rilanciato da Abel al posto del deludentissimo Heitinga, segnalato in grande spolvero già nelle due gare precedenti contro Recreativo e Getafe, il manchego ha giocato una partita davvero sicura e attenta, puntuale e precisa in ogni intervento. Sicurezza Paulo Assunção.
I PEGGIORI: Entra ad inizio partita al posto dell’infortunato Romaric (l’ivoriano esce dopo uno scontro con Perea, anche lui costretto a lasciare il campo a Seitaridis), ma fa solo fumo Diego Capel. Si batte ma non incide il 20enne argentino Perotti, anche se vanno considerate le attenuanti dei pochi spazi concessi dall’Atlético e dell’inesistente manovra del Sevilla, all’interno della quale non è certo facile inserirsi per un esordiente. Va tenuto comunque d’occhio questo ragazzo, un giocatore impiegabile sia da esterno che da seconda punta (meglio seconda punta), ottimi cambi di direzione palla al piede.
Disciplinati in fase difensiva, ma inesistenti in quella di rilancio dell’azione Raúl García e Maniche.

Sevilla (4-4-1-1): Palop 6; Mosquera 6, Squillaci 6,5, David Prieto 6, Adriano 6; Navas 7, Fazio 7, Renato 6, Romaric s.v. (Capel 5, m. 10; José Carlos s.v., m. 85); Perotti 5,5 (Acosta 6, m. 54); Kanouté 6.
In panchina: Javi Varas; Konko, Dragutinovic y Maresca.
Atlético de Madrid (4-1-4-1): Leo Franco 6; Perea s.v. (Seitaridis 6, m. 7), Pablo 7, Ujfalusi 6,5, Pernía 6(Maxi 6, m. 46); Assunção 7; Simão, Maniche 5,5(Agüero, m. 70), Raúl García 5,5, A. López 6; y Forlán 5,5.
In panchina: Coupet; Heitinga, Camacho, Miguel de las Cuevas.

Goles: 1-0. M. 87. Fazio asiste a Navas que bate, dentro del área grande, a Leo Franco de tiro raso.
Árbitro: Pérez Lasa. Amonestó a Fazio, Assunçao, Pernía, A. López, Palop, Raúl García y Maniche.
42.000 espectadores en el Sánchez Pizjuán.

Etichette: , ,

REAL MADRID-BETIS 6-1: Higuaín (R); Huntelaar (R); Huntelaar (R); Ricardo Oliveira (B); Raúl (R); Raúl (R); Sergio Ramos (R).

Serata di puro giubilo per il madridismo: il Barça cade, i punti di distacco ora sono “solo” 7 e in più il Real stravince la propria partita dando spettacolo e risparmiando tutte le energie possibili per il Liverpool. Questo grazie anche a un Betis sinceramente patetic, che purtroppo ha confermato quanto detto sui tanti troppi gol a buon mercato regalati da questa Liga. Impietosito il Real Madrid ha provato pure a rimettere in partita l’avversario quando sul 3-1 Casillas ha regalato a Oliveira un pallone sciupato dal brasiliano sul palo, ma niente da fare.

Nessuna cronaca della partita, ve lo chiedo per favore, e in sede di commento non posso che dare un giudizio sul Real Madrid a più ampio raggio, certo non legato strettamente a questa partita. Va anzitutto detto che non è colpa dei merengues se l’avversario non si presenta in campo, il loro gli uomini di Juande Ramos lo stanno facendo tutto, hanno divertito per quanto potevano (mi ha ricordato un po’ Barça-Atlético 6-1) e fatto intravedere una credibilità in netto consolidamento che però per forza di cose dovrà attendere come test probante quello della Champions.
La prima sensazione, quella più forte e rassicurante, è che questa squadra dia l’impressione di giorno in giorno di fare sempre più fatica a subire non solo i gol ma anche le occasioni. Qui ha pesato tutto il pragmatismo di Juande, che è intervenuto dove più urgeva, sulle fondamenta di una squadra che non si reggeva più in campo e rimaneva facilmente spezzata in due. Anche nelle prime partite con Juande il Madrid è rimasto spesso spezzato in due, ma la differenza è che ha aggiunto un uomo in più dietro la linea della palla. Non c’è voluta la scienza, ma l’innesto della coppia Gago-Lassana Diarra è stato un vero toccasana, la chiave migliore per interpretare questo risorgimento madridista. Innesto inizialmente un po’ artificiale, ma attorno al quale adesso si stanno cominciando ad assemblare tutti gli altri pezzi, per un Madrid che è riuscito ad accorciare le distanze fra i reparti e finalmente comincia a muoversi come un blocco armonioso.
Questa solidità è la base più credibile per poter competere, soprattutto a livello di Champions dove si gioca sul filo dei gol subiti nelle gare ad eliminazione diretta, anche se per sfortuna del Madrid tale prerogativa non potrà valere più di tanto come valore aggiunto nei confronti del Liverpool, la squadra forse difensivamente meglio organizzata d’Europa. Quella coi Reds sarà molto probabilmente una gara noiosa per lo spettatore, ma assai stimolante dal punto di vista tattico: una sfida dove, stante questo prevedibile equilibrio, credo risulterà più decisiva la capacità di segnare un gol in più dell’avversario piuttosto che prenderne uno in meno (so bene che questa frase letteralmente non vuol dire nulla, ma spero di aver reso l’idea).
E si entra qui in un punto delicato: Huntelaar. Proprio attorno al centravanti olandese il Madrid ha mostrato la manovra più interessante nelle ultime due partite, dopo che nelle partite precedenti il gioco offensivo si era praticamente ridotto alle sole galoppate palla al piede di Robben.
Già dopo il suo esordio contro il Villarreal, avevamo detto che “Hunter” apporta caratteristiche da punto di riferimento offensivo che nessun altro attaccante merengue, neppure il compianto Van Nistelrooy, possiede. Huntelaar tiene sempre impegnati i centrali e allunga le difese avversarie, gioca di sponda e apre spazi per i suoi compagni offensivi, per i quali aumentano le opportunità muovendosi a rimorchio sulla trequarti. In queste ultime due partite il Madrid ha mostrato una mobilità e un’imprevedibilità offensiva davvero interessanti.
Vedere per credere le ultime due partite di Raúl, trovatosi come un pesce nell’acqua a sguazzare sulla trequarti per poi inserirsi a fari spenti e sorprendere con le sue brillantissime esecuzioni di prima intenzione o quasi (doppio golazo stasera, il primo soprattutto, anche se il secondo può sembrare più vistoso), sicuramente più comodo rispetto a quando gioca con Higuaín che tende a togliergli quegli spazi sulla trequarti.
Col capitano e con l’argentino (in queste ultime due partite finto esterno destro con libertà estrema di movimento, date le coperture assicurate da Lass e Ramos: pure il Pipita beneficia del peso di Huntelaar) come coppia d’attacco, il Madrid invece non occupa gli spazi dalla trequarti in su con sufficiente razionalità, fatica a trovare la profondità e a portare giocatori pronti alla conclusione nell’area avversaria. Così si spiegano anche le maggiori difficoltà nel creare occasioni a difesa avversaria schierata che il Madrid di Juande Ramos aveva manifestato nelle gare precedenti la trasferta di Gijón. Purtroppo per il Madrid Huntelaar non sarà disponibile per la Champions, e questo costringerà a ridisegnare da capo quei movimenti offensivi parsi nettamente migliorati nelle ultime due partite. Robben dovrebbe tornare imprescindibile in questa doppia sfida col Liverpool.
Per quanto riguarda il Betis, che dire? Dei verdiblancos in genere abbiamo sempre criticato i fragilissimi equilibri in fase di non possesso e le distanze eccessive fra difesa e centrocampo, ma per una figuraccia vergognosa come questa la critica va sicuramente estesa all’attitudine, inaccettabile fin dai primi secondi del match. Mollezza infinita e coralità ai minimi termini, nulla aggressività in mezzo al campo (il pressing in genere scattava ogni 5-10 minuti ed era rigorosamente individuale, cioè uno particolarmente volenteroso a un certo punto prendeva e diceva agli altri: “oh, io vado un po’a pressare, voialtri tenetemi d’occhio il telefonino, mi raccomando”), difesa ridicola per non dire peggio, marcature sempre più morbide man mano che ci si avvicinava al pagliaccio Ricardo (no comment sul 2-0…), con Melli e Arzu che hanno allestito una perfetta replica della coppia da incubo dello Sporting Gijón Gerard-Iván Hernández (la dinamica del gol di Higuaín uguale spiccicata a quella del 2-0 di Huntelaar al Molinón, da far cadere le braccia), ogni cross un pericolo.

I MIGLIORI: Già analizzati nel commento della partita: Huntelaar, Raúl, la coppia Gago-Lass (il francese mi piaceva già da prima che venisse nella Liga; l’argentino cresce a vista d’occhio, partita dopo partita, sta diventando dominante nel suo ruolo), Higuaín.
I PEGGIORI: Quelli vestiti di biancoverde, essenzialmente.

Real Madrid (4-4-1-1): Iker Casillas 5,5; Sergio Ramos 6,5, Pepe 6,5, Cannavaro 6,5 (Sneijder 6, m.46), Heinze 6,5; Higuaín 7 (Guti 6, m.46), ''Lass'' Diarra 7, Gago 7, Marcelo 6,5; Raúl 7,5 (Robben 6, m.46), Huntelaar 7,5.
Real Betis (4-2-3-1): Ricardo 4; Nelson 4,5, Melli 4, Arzu 4 (Juanma s.v., m.80), Fernando Vega 5; Juande 4 (Monzón s.v., m.53), Mehmet Aurelio 4,5; Damiá 5, Emaná 4,5 (Rivera s.v., m.61), Mark González 5,5; Oliveira 6.

Goles: 1-0, m.7: Higuaín. 2-0, m.15: Huntelaar. 3-0, m.24: Huntelaar. 3-1, m.30: Oliveira. 4-1, m.36: Raúl. 5-1, m.41: Raúl. 6-1, m.45: Sergio Ramos.
Árbitro: Undiano Mallenco (colegio navarro). Mostró cartulinas amarillas a Heinze (81) por el Real Madrid, y a Emaná (35), Oliveira (43) y Arzu (45) por el Real Betis.
Incidencias: encuentro correspondiente a la 24a jornada de Primera división, disputado en el estadio Santiago Bernabéu lleno, ante la presencia de 79.500 espectadores.

Etichette: , ,

sabato, febbraio 21, 2009

Una Liga in tono minore/capitolo terzo.

Ancora! Chi, bontà sua, legge questo blog sin dagli inizi comincerà ormai a pensare che il suo autore non sia altro che un noioso bastian contrario che non fa altro che sputare sul piatto dove mangia (…e magari fosse…). Dopo il Real Madrid 2006-2007, bollato dal sottoscritto come una delle squadre più sghangherate e improbabili mai viste, dopo una Liga 2007-2008 al ribasso, vinta senza il minimo demerito da un Real Madrid che tuttavia è parso più che altro la meno peggiore delle squadre in lizza, la storia, uguale si ripete anche quest’anno.
Certo, il Barça sta dominando la Liga nella maniera più brillante possibile, ma ciò non deve nascondere, e anzi indirettamente sottolinea, la povertà generale di contenuti che questa stagione ci sta offrendo. Non noiosa per quegli eccessi speculativi e di tatticismo intravisti gli anni scorso, ma anzi ricchissima di gol, gol che peraltro andando a vedere a fondo provengono in una preoccupante maggioranza dei casi da errori difensivi e papere dei portieri (queste ultime stanno incidendo in una misura davvero inquietante). Gol a buon mercato, ideali per qualche superficiale propaganda, ma negativi per la competitività dell’intero movimento.

Il problema, si badi bene, non è che il Barça (peraltro in calo nelle ultime partite: sono l’unico che pensa che giocando come contro il Betis ma anche come contro Racing e Numancia l’eliminazione dalla Champions non sia così improbabile?) asfalti di goleada in goleada le sue avversarie. A questo proposito va ricordato come già il miglior Barça di Rijkaard chiudesse spesso in anticipo le gare, ma preferisse a differenza di questo attuale gestire il vantaggio più che infierire (arrivati a questo punto invece il Barça è ingolosito sia dalla media dei tre gol a partita che dalle performances dei propri attaccanti nella classifica cannonieri), e va comunque ricordato come le squadre finora più ostiche per il Barça in questa Liga portino pur sempre i nomi di Numancia, Racing, Getafe, Osasuna e Betis.
Il problema vero è che fra Sevilla, Valencia, Atlético Madrid e Villarreal non si fa una squadra decente. Stupisce persino il punteggio del Real Madrid, a quota 50, un punteggio che in qualsiasi altro campionato gli varrebbe la leadership, senza un Super-Barça di mezzo. Cinquanta punti per una squadra che dall’inizio della stagione ha avuto tutte le sventure possibili e immaginabili fra infortuni, cambio d’allenatore e terremoto societario, e che solo adesso sta ricostruendo una propria identità (in questo senso la vittoria di Gijón è la prima vittoria pienamente convincente di Juande, la prestazione certamente più completa).
Ma lasciamo da parte il Real Madrid. Il vero valore aggiunto della Liga nel suo momento di maggior splendore, fra fine ’90 e inizio 2000, non era rappresentato né dai Galácticos né da un Barça che peraltro sotto Gaspart attraversava una delle sue epoche più buie, ma dal Valencia di Cúper e poi di Benítez, da quel Depor che fu il più meraviglioso dei perdenti nelle Champions di inizio secolo, anche da sorprese come Celta e Alavés (e, rimanendo all’ambito puramente domestico, non dimentichiamo l’exploit della Real Sociedad di Denoueix), fino al Villarreal Riquelme-centrico e al grande Sevilla bicampione-Uefa che in un certo senso ha chiuso un ciclo d’oro per il calcio spagnolo di club.

Ora, sebbene i fatti siano sempre in tempo per smentirmi, le prospettive future sembrano assai più anguste. Il rischio tangibilissimo è che la Liga si trasformi in una sorta di versione d’èlite del campionato scozzese, senza il fascino dei manzi che popolano i campi delle Highlands ma con qualche giocoliere in più, col duopolio Barça-Madrid a replicare Celtic e Rangers. Insomma, proprio quello che era la Liga prima di affermarsi come miglior campionato d’Europa all’inizio del ventunesimo secolo, ruolo già da un po’ di tempo perso in favore della Premier League, campionato che peraltro suonava sempre molto più “trendy” anche quando i valori tecnici erano inferiori (c’è poco da fare, un Owen riusciranno sempre a vendertelo come miglior giocatore d’Europa anche davanti al miglior Raúl).
Era quella dei duetti in mezzo metro di campo tra Valerón e Fran, del pazzo Djalminha, della coppia Albelda-Baraja che macinava palloni senza soluzioni di continuità, di Vicente che metteva tutti i terzini culo a terra, del Celta-spettacolo di Víctor Fernández che partiva sempre fortissimo e poi si sgonfiava (ma in mezzo ci stavano un 7-0 al Benfica e un 4-0 alla Juve), dell’Alavés che assieme al Liverpool allestiva una delle partite più belle della storia, di Karpin/López Rekarte e De Pedro/Aranzabal che ingozzavano di cross Kovacevic e facevano sognare l’impossibile a Donostia…era questa la Liga della quale mi innamorai, scusate l’attacco di sentimentalismo…

Si sta giocando una partita decisiva, al centro della quale c’è il Valencia. La squadra di Emery simboleggia al meglio lo spartiacque davanti al quale si trova il calcio spagnolo, fra calcio simil-scozzese e calcio competitivo in blocco. Il Valencia infatti è l’unica squadra che a breve termine ha il potenziale per raggiungere Barça e Madrid ad un livello di competitività da Champions: passato un anno necessariamente di transizione come questo, rinnovata e sfrondata la rosa dei rami secchi (quegli Albelda e Baraja che mi facevano impazzire anni fa e che ormai somigliano a degli zombi), un Valencia che si trovasse in Champions col quartetto offensivo Mata-Silva-Villa-Joaquín avrebbe tutte le carte in regola per impressionare l’Europa e magari dare la spinta ad un Rinascimento di tutto il movimento.
Su questa strada però gli ostacoli sono tanti e veramente ardui: il Valencia è economicamente allo sfascio, e forse soltanto in caso di qualificazione alla Champions ci sarebbe una minima possibilità di trattenere Silva e Villa. In caso contrario, Silva e Villa volerebbero via, se non verso Barça e Madrid verso le grandi della Premier, e comunque andasse sarebbe un impoverimento tremendo, una mazzata che accrescerebbe ulteriormente il divario fra il duopolio blaugrana/merengue e il resto, un ulteriore micidiale colpo alla credibilità della Liga.
Proprio da qui traggo lo spunto per un’altra osservazione/similitudine: a una Liga che si impoverisce corrisponde una nazionale che si arricchisce. L’esperienza che Xabi Alonso e Torres hanno acquisito nel campionato migliore del mondo (e comunque, al di là di questo, l’esperienza che hanno tratto dal confrontarsi con un calcio diverso) ha portato linfa nuova a una nazionale che tiene il campo con padronanza sempre maggiore (pesata l’importanza relativa di queste amichevoli, le Furie hanno convinto anche contro l’Inghilterra). Premesso che per la Ligue 1 un Messi non sarà mai accessibile dal punto di vista finanziario (perché il calcio francese assieme a quello tedesco è uno dei pochi seri sulla questione dei bilanci, onore a loro), questa situazione molto da lontano ricorda quella della Francia che arrivò sul tetto del mondo e dell’Europa basandosi integralmente sull’esportazione e la maturazione in altri campionati dei propri talenti. La Spagna non arriverà mai a questo, perché due entità come Madrid e Barça i giocatori li trattengono e anzi li attraggono, ma è una tendenza indubbiamente emergente degli ultimi anni di dittatura della Premier League. Anche nelle situazioni poco favorevoli si finisce col cogliere degli aspetti positivi.

Etichette: