domenica, marzo 29, 2009

Prendi e porta a casa.

Vittoria tanto immeritata quanto pesante, il Mondiale è a un passo: un punto mercoledì in Turchia e il biglietto per il Sudafrica lo si potrà mettere in cassaforte, visto anche come le inseguitrici alle spalle si rubano punti (la Bosnia, nazionale tutt’altro che sprovveduta come già dimostrò a Murcia, addirittura va a spadroneggiare in Belgio).
Partita difficilissima, un rompicapo, poche occasioni da entrambe le parti ma una Turchia forte di un netto controllo territoriale: la Spagna non ha potuto mai elaborare il proprio gioco, il suo merito se vogliamo è stato quello di limitare gli errori difensivi e mantenere i nervi saldi fino a quando non le si è presentata l’occasione giusta, lo sporchissimo primo gol in nazionale di Gerard Piqué.

Come previsto, Del Bosque ha confermato l’assetto dell’amichevole con l’Inghilterra: due punte sì, ma senza rinunciare ai palleggiatori a centrocampo. Quindi Xabi Alonso, Senna e Xavi insieme, tutta la fascia destra per Sergio Ramos e Cazorla a sinistra a sostituire l’infortunato Iniesta.
Mettere palleggiatori di per sé però non è garanzia di un possesso di palla fluido: se ne accorge ben presto la Spagna, soggiogata da una Turchia bellicosa come non mai. Già per indole i turchi non amano nascondersi, in più Terim aggiunge una perfetta pianificazione: pressano altissimo i turchi (già con Semih Senturk, preziosissimo), ricacciano indietro la Spagna, rubano palla sulla trequarti avversaria e verticalizzano subito, sfruttando la profondità di giocatori come Nihat e Tuncay, che con la loro velocità creano qualche imbarazzo nella zona di Capdevila e Piqué (nel complesso comunque positiva la prestazione della linea difensiva di Del Bosque).
Nihat spaventa il Bernabeu, Senturk impegna Casillas, tutto nei primi minuti, per il resto non ci sono altre occasioni, ma rimane palese l’imbarazzo di una Spagna che non riesce proprio a distendersi. Contratta, involuta e pure imprecisa la manovra spagnola: Xabi Alonso e Senna vengono pressati subito, Xavi è costretto a retrocedere per prendere palla, e inoltre non può mai girarsi per la marcatura asfissiante. Le comunicazioni fra Villa-Torres e il centrocampo saltano, e così succede che il primo tiro in porta spagnolo lo si veda già passata la mezzora (un destro al volo di Torres da fuori area).
Ci sarebbe uno straordinario Xabi Alonso del quale far tesoro (la sua padronanza del ruolo lascia a bocca aperta, dice bene in telecronaca Butragueño: chi desiderasse fare il centrocampista dovrebbe registrarsi la partita del basco e apprendere), con le sue aperture di 40 metri ad occhi chiusi che mandano in tilt il pressing avversario, ma la manovra spagnola insiste troppo al centro e si perde anche in errori di misura, facilitando ai turchi l’accorciamento degli spazi.
L’ideale sarebbe cercare di aggirare il sistema difensivo turco con molti cambi di gioco, ma l’azione non decolla mai: Villa e Torres cercano i loro classici movimenti verso le fasce (allargandosi più a sinistra che a destra, fascia troppo poco sfruttata), mentre Sergio Ramos non può mai arrivare lanciato alla sovrapposizione. Tutto questo per lo stesso motivo, perché difesa e centrocampo sono soffocate ad inizio azione, e perciò la Spagna non può mai prendere ritmo e distendersi.
Splendido pressing alto dei turchi, e la sorpresa non è certo né l’aggressività né la qualità dei giocatori di Terim, ma l’ordine con cui si difendono. Coperture puntuali, distanze impeccabili fra i reparti: tutt’altra cosa rispetto alla celebre anarchia dell’Europeo.
Forse Del Bosque nella ripresa dovrebbe inserire un uomo di fascia in più per cercare di allargare il campo, ma non vuole toccare il trio Xabi Alonso-Senna-Xavi, e almeno gli episodi (non certo il gioco) lo premiano. Va detto che col passare dei minuti la Spagna propone fasi di possesso-palla un po’ più lunghe e qualche metro più avanti, ma di certo il gol poteva arrivare soltanto come alla fine è arrivato: una punizione dalla destra di Xavi, Sergio Ramos dimenticato in area piccola non controlla, la palla schizza verso l’altro palo, verso Piqué per una conclusione non perfetta ma sin troppo ravvicinata per non piegare Volkan.
Il gol apre tutta un’altra partita: ora l’ansia è tutta della Turchia, è lei che correre per recuperare subito pallone rischiando di lasciare gli spazi, la Spagna non ha più fretta, e quando questa nazionale non ha più fretta… pietra sopra.
Dal gol al fischio finale (nel mentre fa il suo esordio Mata e trova qualche minuto Silva) gli uomini di Del Bosque conservano il pallone, tengono lontano l’avversario dalla propria area e ci provano anche coi tiri da fuori di Silva, Sergio Ramos e Xabi Alonso.

Spagna (4-4-2): Casillas; Sergio Ramos, Albiol, Piqué, Capdevila; Xavi, Senna, Xabi Alonso, Cazorla (Silva, m. 76); Fernando Torres (Llorente, m. 87), Villa (Mata, m. 64).
In panchina: Reina, Diego López; Arbeloa, Juanito, Marchena, Busquets, Riera y Güiza.
Turchia (4-4-2): Volkan Demirel; Gokhan Gonül, Emre Asik, Hakan Balta, Ibrahim Uzulmez; Tuncay Sanli, Mehmet Aurelio, Emre Belozoglu (Sabri Sarioglu, m.84), Arda Turan (Unkal, m. 76); Nihat Kahveci, Semih Sentürk (Akman, m. 56).
In panchina: Rustu Recber; Bayrak, Ibrahim Kas, Gungor, Kazim Kazim, Nuri Sahin, Mevlut Erding, Yildrim, Gokdeniz Karadeniz, Ceylan.

Goles: 1-0. M. 60. Xavi saca una falta, Sergio Ramos golpea el balón con su rodilla y lo manda al segundo palo, donde Piqué aprovecha el rechace.
Árbitro: Massimo Busacca (Suiza).
Santiago Bernabéu: 80.000 espectadores.

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sabato, marzo 28, 2009

Protagonisti: José Ángel (Sporting).

Potete trovare un mio post su José Ángel, in versione riadattata, anche sul "Bar delle Antille".

L’ultima perla di Mareo


Nome: José Ángel Valdés Díaz.
Luogo e data di nascita:
Gijón; 05/09/1989.
Altezza: 1,82 m
Peso: 75 kg.
Ruolo: terzino sinistro.
Carriera:1994/96 Roces (1994-1996); La Braña (1996-1997); Settore giovanile dello Sporting (1997-; Sporting (2008-.

La linfa vitale del Real Sporting de Gijón si chiama “Escuela de fútbol Ángel Viejo Feliú”. Più comunemente conosciuto come Escuela de Mareo, dal nome del quartiere della periferia di Gijón che lo ospita, si tratta di un centro sportivo, inaugurato nel 1978, che ospita oltre alle formazioni di calcio femminile, tutte le squadre del settore giovanile dello Sporting.
Fiore all’occhiello del club, uno dei vivai più celebri di Spagna, ha prodotto negli anni gente come Luis Enrique, Villa, Abelardo, Juanele, Manjarín e Angulo fra gli altri, e non a caso si parla di linfa vitale. È Mareo infatti che ha letteralmente tenuto in vita lo Sporting negli ultimi anni, quando i biancorossi hanno rischiato il fallimento: la vendita nel 2001 delle strutture del centro sportivo al Comune di Gijón (il quale comunque attualmente le affitta al club) permise di incassare denaro fresco per far fronte ai debiti, mentre più a largo raggio il serbatoio di giocatori della cantera ha salvaguardato la competitività sportiva a dispetto delle ristrettezze economiche, fino a costruire le premesse del ritorno in Primera.
A detta di tutti la scorsa estate il prodotto più atteso della cantera sportinguista era il terzino sinistro Roberto Canella, 21 anni, titolare dell’Under 21 e inamovibile nell’undici dello Sporting già da diverse stagioni. Tutto bene, Canella ha mantenuto le promesse, quelle di un terzino affidabile e già molto richiesto sul mercato (si son fatti i nomi di Aston Villa e Real Madrid), ma dietro di lui ha fatto tempo ad emergere un talento di livello superiore. Se Canella è destinato a una lunga e più che dignitosa carriera da giocatore di Primera, José Ángel infatti pare roba davvero seria.
Lo Sporting si frega le mani, ha già pianificato tutto: vendere bene Canella quest’estate per poi trovarsi tra le mani quello che potenzialmente è il laterale completo e di grande spessore che la fascia sinistra della difesa della nazionale tanto attende.

José Ángel Valdés Díaz, per gli amici “Cote” (nomignolo che il diretto interessato vorrebbe portare anche sulla propria maglia) inizia da bambino con le squadre del Roces e de La Braña, per poi entrare a otto anni nel settore giovanile dello Sporting. Compiuta tutta la trafila, il salto di qualità arriva fra la scorsa stagione e l’inizio di questa.
Inizia il 2007-2008 con la formazione Juvenil (l’ultimo gradino prima delle squadre filiali), ma a metà stagione viene promosso nello Sporting B. Ben presto richiama l’attenzione di Manolo Preciado, che lo aggrega alla prima squadra nell’ultimo precampionato. Trova i suoi minuti e si mette in evidenza nelle amichevoli (fra le quali un ottimo spezzone contro il Milan), cominciando la stagione con lo Sporting B ma restando a disposizione come rincalzo per la prima squadra.
La Copa del Rey è il palcoscenico che Preciado gli regala, e dopo le buone prestazioni da titolare nei turni contro Numancia, Valladolid e Athletic Bilbao, arriva anche l’esordio nella Liga, l’8 Febbraio, un breve cammeo al Camp Nou. Ventiquattro ore dopo arriverà anche il primo contratto da professionista, per cinque stagioni a partire dalla prossima, con clausola rescissoria fissata a 18 milioni di euro.
L’ultimo mese è la sua vetrina: in casa del Villarreal, l’assenza di Diego Castro induce Preciado ad avanzare Canella a centrocampo, dietro al quale José Ángel trova così lo spazio per la prima presenza in campionato da titolare. L’infortunio di Canella poi spalanca definitivamente le porte al canterano, sempre nell’undici di partenza nelle ultime gare con Mallorca, Osasuna, Deportivo e Numancia: prestazioni caratterizzate principalmente dalla disciplina difensiva e dal desiderio di non strafare, ma già impreziosite dal primo gol nella Liga, la sassata su calcio di punizione che stende il Depor al Molinón (nell’ultima giornata invece un altro “zurdazo” su punizione forza l’errore del portiere del Numancia Juan Pablo che regala il gol del momentaneo pareggio a Barral).
Conseguenza di questa vetrina, la prima convocazione per l’Under 21, nell’amichevole “sperimentale” in Irlanda. Dovrebbe far parte del prossimo ciclo e probabilmente disputare anche il Mondiale del prossimo settembre con l’Under 20, sempre che qualcuno ai piani più alti non decida di bruciare le tappe…

Quello che salta all’occhio di José Ángel è il repertorio sulla carta sconfinato. L’unica incognita può riguardare la sua maturazione tattica e soprattutto psicologica, discorso logico per un giovane alle prime armi, perché atleticamente e tecnicamente ha tutto per arrivare ai massimi livelli del ruolo.
Fisico slanciato, agile ed elastico, esplosivo, grande facilità di corsa, polmoni per coprire da solo tutta la fascia, dal primo al novantesimo minuto. Le qualità atletiche naturali lo rendono un durissimo cliente per qualsiasi ala: finchè lo sostiene la concentrazione, José Ángel è infatti un terzino molto difficile da superare nell’uno contro uno, perché è tanto agile, reattivo e rapido sul breve (perfetta la partita difensiva su Juanfran dell’Osasuna, dribblatore dal primo passo micidiale) quanto veloce nel recupero sulla lunga distanza (non a caso è lui a rimanere come ultimo uomo a difendere sui calci d’angolo).
Aggressivo nel pressing, solido nei contrasti, deciso ed efficace quando ricorre al tackle, aiutato anche dalle lunghe leve. Può migliorare il gioco aereo, ne ha i mezzi. Alle grandi risorse tecniche e atletiche occorrerà poi aggiungere la disciplina tattica per completare il bagaglio difensivo. Molto attento in queste prime gare da titolare, deve tuttavia migliorare il posizionamento: in qualche occasione può lasciarsi scappare l’uomo nella zona alle sue spalle (vedi un paio di situazioni nella gara col Mallorca), e anche nelle diagonali può crescere.

Il vero valore aggiunto di José Ángel in prospettiva è però rappresentato dalle doti offensive. Guardando al futuro, potrebbe davvero offrire quel qualcosa in più che manca a Capdevila e Fernando Navarro, attuali inquilini della fascia sinistra difensiva della Selección, terzini corretti ma di scarsa profondità.
José Ángel non è solo un terzino che accompagna con grande velocità e aggressività l’azione offensiva, José Ángel ha le qualità per creare gioco in prima persona ed esserne protagonista. Caratteristica non molto evidente in queste sue prime uscite, nelle quali un misto di inesperienza e voglia di non complicarsi la vita lo ha visto spesso ricorrere al rilancio a casaccio, ma decisamente riscontrabile in pochi ma promettentissimi lampi palla al piede (per valutare un giovanissimo è questo che conta: non tanto quello che fa adesso, ma quello che potrà fare fra un paio di anni sulla base delle proprie doti).
Non sono tanti i terzini con questo controllo di palla, non sono tanti i terzini capaci di sgusciare come un’anguilla fra due avversari in pressing, non sono tanti i terzini capaci di giocare l’uno contro uno da fermo, di caracollare, fintare e mandare a vuoto l’avversario come un’ala consumata. José Ángel non si sovrappone giusto per portare via l’uomo al compagno e buttare lì qualche cross di tanto in tanto, ma ha la personalità e le qualità di palleggio per temporeggiare, scegliere di volta in volta l’opzione migliore e imbastire triangolazioni e combinazioni palla a terra come fosse un centrocampista in più (del resto il suo ruolo d’origine, e lo è stato fino a due anni fa, è proprio quello di esterno sinistro di centrocampo). Quando limiterà certe giocate precipitose, certe palle spazzate via o certi cross avventati dalla trequarti, allora avremo un terzino capace di conquistare il fondo una volta sì e l’altra pure.
Oltre a questo, un ottimo piede sinistro. Un calcio secco e violento (le punizioni le calcia di potenza, cercando lo spiraglio attraverso la barriera), traiettorie tese e veloci ma mai caratterizzate dalla sola rabbia. Quando va al cross alza sempre la testa tagliando bene i traversoni, e anche i rinvii lunghi dalla propria metacampo giungono ben calibrati a destinazione, per la torre di Bilic o per la profondità di Barral alle spalle della linea difensiva avversaria. Non di rado utilizza anche il destro per rientrare al cross, ma è chiaro che deve migliorare parecchio la precisione.


Il gol al Deportivo


Video José Ángel (amichevoli estive; http://futbolecciones.blogspot.com/)



FOTO: http://www.realsporting.com/

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lunedì, marzo 23, 2009

VENTOTTESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Deportivo-Betis 1-1: Verdú 9'(D); Sergio García 33'(B).

Numancia-Sporting 2-1: Barkero, rig. 43'(N); Barral 46'(S); Goiria 54'(N).

Racing-Valencia 0-1: Mata 76'.

Osasuna-Espanyol 1-0: Nekounam 92'.

Getafe-Recreativo 2-1: Maidana 46'(R); Soldado 63'(G); Soldado 65'(G).

Mallorca-Atlético Madrid 2-0: Aduriz 23'; Castro 89'.

Villarreal-Athletic Bilbao 2-0 (giocata sabato): Cazorla 68'; Matias Fernández.

Una giornata di Liga che ha detto cose interessantissime: delle 20 squadre soltanto il Valladolid si trova in una posizione di classifica anonima (anche il Sevilla: non in una posizione anonima,ma quasi sicura sì), a un passo dalla salvezza ma anche un po' lontano dalla contesa per la UEFA. Il resto delle squadre è invischiato fino ai capelli nelle varie lotte.
Valencia, Deportivo e Málaga lottano per la Uefa, Atlético e Villarreal per la Champions, mentre le sconfitte di Racing, Almería, Sporting e Athletic coinvolgono fino a dieci squadre nella lotta per non retrocedere. Equilibrio, livellato verso il basso, ma grande ed incerto equilibrio.

Dieci squadre in lotta per la salvezza fra le quali non è compreso l'Espanyol, che, nonostante qualche segnale di miglioramento con Pochettino, a -7 dall'Osasuna sembra avviato verso una triste retrocessione, ancora più triste se si pensa che dalla prossima stagione i biancoazzurri abbandoneranno finalmente il tetro Montjuic per trasferirsi nel nuovo impianto di Cornellá-El Prat, stadio che certamente richiederebbe un'inaugurazione un po'più festosa di un campionato di Segunda (anzi, "Liga Adelante"... oh mio Dio...).
Il Betis agguanta un punto al Riazor (Depor in calo) e resiste per il momento all'assalto dell'Osasuna, tenuto a galla dal proprio miglior giocatore, l'ottimo Nekounam. Tira un (momentaneo) sospiro di sollievo Víctor Muñoz, grazie al predatore Soldado (golazo il primo: per il lancio di Manu, l'aggancio in corsa perfetto e la conclusione finale).
A Los Pajaritos, brutta partita decisa dagli errori difensivi: in questo campo si sa, lo Sporting non ha rivali, vedi la perla di retropassaggio di Gerard che apre la strada a Goiria. Il Numancia resta vivo, e desidera perlomeno "morir matando", come si dice in Spagna.
Prosegue la tendenza ascendente del Mallorca, che con una gara poco spettacolare ma molto disciplinata batte un Atlético che prontamente sconfessa le buone sensazioni della vittoria col Villarreal e torna ai propri sconcertanti costumi. Manovra statica e bloccata, senza idee e con gli attaccanti costantemente anticipati spalle alla porta (di loro Forlán e il Kun ci hanno messo delle prestazioni individuali veramente desolanti), compito facile per il Mallorca, ben raccolto nelle sue due linee da quattro e pronto a lanciare il proprio valido contropiede, con Aduriz sempre ficcante sul filo del fuorigioco e Chori Castro, subentrato e subito in gol, sempre più in palla.
L'Athletic invece dovrà ora mettere da parte per qualche settimana i sogni di coppa e sistemare una classifica tutt'altro che sicura. Limitata come al solito ma affidabile la prova sul campo del Villarreal: i gialli non trovano mai continuità di manovra nella metacampo avversaria intasata dai buoni raddoppi e dalla fisicità dei baschi, e per sbloccare la gara ci vuole una palla persa a metacampo che avvia il contropiede meravigliosamente gestito da Rossi e finalizzato da Cazorla. C'è spazio poi anche per lo splendido gol di Matias Fernández, giocatore che sarebbe magnifico recuperare alla causa e, chissà, potrebbe pure rivelarsi la carta a sorpresa per la Champions.
Importante, veramente importante, la vittoria del Valencia, per come è arrivata e per tutta una serie di dati: la vittoria in trasferta non arrivava dal novembre scorso sul campo del Getafe e da più di venti partite il Valencia non riusciva a non incassare gol. Poi vale doppio una vittoria arrivata in 10 contro 11 (il gol del subentrato Mata è successivo all'espulsione di Alexis ad inizio ripresa), seppure con l'ausilio della sorte in occasione del rigore calciato sulla traversa, in pieno recupero, da Serrano, simbolo di un Racing spuntato in mancanza di Zigic (se Pereira concretizzasse solo la metà delle azioni che fabbrica...).

CLASSIFICA
1 Barcelona 69
2 R. Madrid 63
3 Sevilla 54
4 Villarreal 48
5 Atlético 43
6 Valencia 43
7 Deportivo 43
8 Málaga 43
9 Valladolid 39
10 Racing 33
11 Sporting 33
12 Mallorca 32
13 Almería 31
14 Getafe 31
15 Athletic 31
16 Recreativo 30
17 Betis 30
18 Osasuna 29
19 Numancia 26
20 Espanyol 22

CLASSIFICA MARCATORI
Eto'o 25(Barcelona, 2 rig.)
Villa 19(Valencia, 4 rig.)
Forlán 19(Atlético Madrid, 3 rig.)
Messi 19(Barcelona, 3 rig.)
Negredo 16(Almería, 4 rig.)

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VENTOTTESIMA GIORNATA: Barcelona-Málaga 6-0: Xavi; Messi; Henry; Eto’o; Daniel Alves; Eto’o.

Ditemi voi: cosa dovrei mai scrivere di questa partita? È chiaro che il Barça ha ritrovato il feeling giusto (avevo speso frasi apocalittiche dopo la sconfitta con l’Atlético, non mi aspettavo francamente che tornasse in tempo così breve alla routine precedente), ma è anche chiaro anche che il Málaga presentatosi al Camp Nou è stato un oltraggio al calcio(nemmeno mitigato dalle assenze di elementi importantissimi come Weligton, Baha, Calleja e anche il Duda acciaccato che parte dalla panchina).
Gli andalusi hanno ricalcato e moltiplicato per mille l’Almería della scorsa settimana. Una passività sconcertante: appollaiati nella loro metacampo ma senza un briciolo di cattiveria agonistica e una concentrazione ai minimi termini, inesistenti nell’area blaugrana (ammesso che riescano ad arrivarci) e teneri nella propria, gli uomini di Tapia hanno lasciato al Barça tutto lo spazio per combinare tra le linee, a Iniesta e Xavi la possibilità di impostare fronte alla porta, e con simili premesse la strage è stata una conseguenza inevitabile.
Eto’o, molto più partecipe rispetto agli standard di questa stagione (che vedono il camerunese pesare esclusivamente come finalizzatore), ha funto da rampa di lancio sulla trequarti: i suoi movimenti incontro al portatore di palla, combinati con gli inserimenti a turno di Xavi, Iniesta e Henry, hanno originato lo squilibrio che tanto facilmente ha polverizzato il miserrimo sistema difensivo del Málaga, come esemplificato dal primo gol di Xavi.
Il resto lo ha fatto un miracolo del Messia (del suo gol è impressionante la maniera in cui passa fra Helder Rosario ed Eliseu, spostando il pallone nello stretto, anzi nello strettissimo, utilizzando lo stesso piede, prima l’esterno poi l’interno del sinistro, per liberare il destro finale sotto la traversa), poi due assist con tutto il tempo per pensare di Xavi rispettivamente ad Henry ed Eto’o.
La ripresa serve solo a soddisfare gli esteti col meraviglioso gol del 5-0, a mio avviso il più bello della serata: certo, quelli del Málaga sono dei baccalà, ma i due tocchi sotto consecutivi, prima quello del cross di Iniesta e poi quello di Alves, inseritosi in area con un taglio da attaccante vero, di testa (una carezza del tutto intenzionale ad eludere l’uscita di Goitia), manderebbero in visibilio anche lo spettatore più distaccato. Il sesto gol, una mezza pagliacciata di Eto’o a porta vuota, è carne da classifica cannonieri.
L’unica nota di preoccupazione per Guardiola sono gli acciacchi che costringono ad uscire Yaya Touré nel primo tempo e Iniesta e Xavi nella ripresa. Due settimane per Touré, due settimane anche per Iniesta, nulla di particolarmente rilevante per Xavi che risponderà alla convocazione di Del Bosque.

I MIGLIORI: Xavi e Iniesta apparecchiano per il banchetto, Eto’o non fa solo gol ma gioca una partita completa, Messi fa Messi.
I PEGGIORI: La prossima, prego.

Barcelona (4-3-3): Valdés 6; Alves 7, Márquez 6,5, Cáceres 6,5, Sylvinho 6,5; Touré s.v.(Keita 6, m. 26), Xavi 7(Bojan s.v., m. 67), Iniesta 7(Gudjohnsen s.v., m. 60); Messi 7, Eto'o 7, Henry 7.
Málaga (4-2-3-1): Goitia 6; Gámez 4(Gaspar, m. 62), Hélder Rosario 4, Cuadrado 4, Nacho 4; Apoño 4, Lolo 4(Duda s.v., m. 62); Luque 5(Adriano, m. 75), Fernando 4, Eliseu 5,5; Salva 5.

Goles: 1-0, min. 19: Xavi. 2-0, m. 25: Messi. 3-0, m. 32: Henry. 4-0, m. 44: Eto'o. 5-0, m. 51: Alves. 6-0, m. 57: Eto'o.
Árbitro: Muñiz Fernández (comité asturiano). Amonestó con cartulina amarilla a Nacho (m. 18), Lolo (m. 29), Alves (m. 34), Gámez (m. 36) y Gudjohnsen (m. 82).
Incidencias: Partido correspondiente a la 28ª jornada de Liga, disputado en el Camp Nou ante 75.170 espectadores.

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VENTOTTESIMA GIORNATA: Real Madrid-Almería 3-0: Marcelo; Huntelaar; Huntelaar.

Il Real Madrid, bruttissimo nel primo tempo, legittima nella ripresa i tre punti contro un Almería spuntato.

Juande Ramos dopo la buona prova di Bilbao conferma l’assetto con un solo centrocampista a protezione della difesa, Lassana Diarra, schierato qualche metro dietro Sneijder. Hugo Sánchez è costretto a fare a meno di Negredo dall’assurda clausola contrattuale che impedisce di schierarlo contro la propria ex-squadra (e se non ricordo male, la cessione di Negredo è stata pure definitiva, mica un prestito). Certo, il contratto è l’incontro delle libere volontà, ma una delle due chiaramente è in posizione di forza, e comunque la federazione dovrebbe intervenire per mettere un freno perché ormai siamo a livelli francamente eccessivi.
L’inizio, e tutto il primo tempo, del Madrid sono deprecabili: slegato e privo di continuità nella propria azione, l’undici di Juande Ramos sembra diviso in due metà, cinque che difendono e cinque che attaccano. Come nel derby, c’è una certa improvvisazione: l’Almería si muove con più criterio nelle due fasi, ma certo non ha la pericolosità dell’Atlético.
La mobilità fra le linee di Piatti, sostituto di Negredo (con Kalu Uche avanzato a prima punta), crea qualche grattacapo quando l’argentino dal centro taglia verso le fasce costringendo Lassana Diarra a seguirlo e a lasciare uno spazio invitante a ridosso dell’area di rigore madridista, vista la scarsa coesione fra Lass e il resto del centrocampo. Situazione di pericolo però soltanto potenziale, perché gli ospiti non hanno nessun incursore che dalla seconda linea possa sfruttare questo vantaggio (“Hugol” non rinuncia mai al doble pivote bloccatissimo composto da Iriney e Juanito: Julio Álvarez, il “cocco” di Arconada, ha subito una purga staliniana; Corona invece pare avere qualcosa tipo la rogna agli occhi del suo tecnico). E intanto il Madrid passa pure in vantaggio: una situazione abbastanza casuale, un calcio di punizione respinto dalla difesa almeriense, trova al limite dell’area un formidabile destro(!) di prima intenzione di Marcelo che si insacca violentemente sotto la traversa.
Il gol non modifica il copione del match, anzi invita l’Almería a insistere: gli ospiti hanno una vaga supremazia territoriale, cercano la superiorità numerica sulle fasce (soprattutto sulla sinistra, dove Sergio Ramos non trova mai adeguato supporto nel menefreghismo difensivo di Robben, che costringe spesso Pepe a uscire dalla propria zona in aiuto al terzino quando Crusat e Mané attaccano in coppia), ma difettano di peso offensivo a vista d’occhio, confermando l’insostituibilità di Negredo.
Solo dopo l’intervallo il Madrid decide di fare sul serio, e lì chiude subito la partita: inizio molto aggressivo dei merengues, Marcelo prende una traversa e poco dopo Huntelaar raddoppia sugli sviluppi di calcio d’angolo (coordinazione da grandissimo centravanti qual è). Ancora Huntelaar metterà il sigillo finale su un’azione in campo aperto lanciata da Sneijder, conclusa da Robben con un pallonetto sul portiere e ribattuta in rete dal nostro amato Cacciatore. Il resto fino al fischio finale è un giochicchiare senza alcuna rilevanza.

I MIGLIORI: Partitone di un Marcelo sempre più in palla. Da sottolineare e da applaudire l’exploit del brasiliano, soprattutto se raffrontato con la situazione di Drenthe. I due infatti partivano da premesse assolutamente uguali: giocatori giovani e presi di mira con cattiveria eccessiva dal pubblico del Bernabeu, hanno risposto in maniera decisamente diversa: Drenthe ha chiesto a Juande di essere messo da parte perché non sopportava più la pressione, Marcelo il pubblico l’ha affrontato di petto e ha finito col conquistarlo. Uno così, al di là del lato tecnico, è fatto di pasta buonissima.
Lo spostamento a centrocampo da parte di Juande Ramos gli ha permesso di giocare senza la Spada di Damocle dell’errore difensivo, ma sarebbe un errore non considerarlo più come terzino, che del resto è pur sempre il suo ruolo. Terzini con questa qualità di palleggio non ce ne sono tanti, e rappresentano un valore aggiunto (di centrocampisti puri capaci di pareggiare il livello di Marcelo-esterno alto ne trovi tanti, ma di terzini no): vedere l’anno prossimo un Real Madrid dominante nella metacampo avversaria esalterebbe le qualità del Marcelo terzino. Del resto, chi è che insiste sulle carenze difensive di Daniel Alves, che pure esistono?
Huntelaar va spedito verso medie da Eto’o (o da Eredivisie, che gli è più familiare), la coppia Pepe-Cannavaro si conferma uno dei cardini del Madrid. Vanno sottolineati i loro meriti, specialmente quelli di Cannavaro (perfetto per tempismo e lettura delle situazioni), dato che la copertura del centrocampo nell’occasione è stata tutt’altro che perfetta.
I PEGGIORI: Stona Raúl.

Real Madrid (4-1-3-2): Iker Casillas 6,5; Sergio Ramos 6, Pepe 6,5, Cannavaro 7, Heinze 6(Miguel Torres s.v., m.85); ''Lass'' Diarra 6(Gago, m.67); Robben 6, Sneijder 6, Marcelo 7,5; Raúl 5, Huntelaar 7.
UD Almería (4-4-1-1): Diego Alves 6,5; Bruno 6,5, Acasiete 6,5, Pellerano 6, Mané 6; Juanma Ortiz 5,5(José Ortiz s.v., m.61), Juanito 6, Iriney 6(Nieto s.v., m.85), Crusat 6; Piatti 6; Kalu Uche 6(Corona, m.68).

Goles: 1-0, m.23: Marcelo. 2-0, m.53: Huntelaar. 3-0, m.64: Huntelaar.
Árbitro: Mateu Lahoz (colegio valenciano). Mostró tarjetas amarillas a los locales Pepe, Raúl, Sergio Ramos, Heinze y Gago; y a los visitantes Bruno e Iriney.
Incidencias: Partido correspondiente a la vigésima octava jornada de Primera División disputado en el estadio Santiago Bernabéu ante unos 78.000 espectadores. Los jugadores de ambos equipos saltaron al terreno de juego con camisetas alusivas a la Campaña contra el Hambre que se desarrolló en todos los campos esta jornada.

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domenica, marzo 22, 2009

VENTOTTESIMA GIORNATA: Sevilla-Valladolid 4-1: Kanouté (S); Goitom (V); Kanouté (S); Luis Fabiano (S); Kanouté (S).

Sempre più lanciato verso il proprio obiettivo, al Sevilla capita ora di accompagnare alla pura efficacia offensiva anche qualche timido momento di buon calcio. Da due-tre partite la squadra di Jiménez propone una manovra un po’più elaborata, partecipata e armoniosa, sperando che questo possa essere l’inizio di qualcosa di serio (posto che Jiménez debba per forza essere il “Wenger del Sevilla”, come proclamato dal presidente Del Nido).
Vittoria incontestabile contro un Valladolid che come sempre ha cercato di giocarsela: la competitività però è un’altra cosa. Modesta prestazione degli uomini di Mendillibar, leggerini oltre il tollerabile. Per come è strutturata, con difesa alta e tutto il resto, quella castigliana è una squadra che per rendere ha bisogno della massima intensità e concentrazione, altrimenti al primo spiffero imbarca di brutto, come successo ieri (e altre volte in una stagione pur ottima: non dimentichiamo che la salvezza certa è cosa praticamente fatta).

Jiménez, pienamente recuperato il duo Luis Fabiano-Kanouté, conferma la svolta delle ultime giornate, ovvero Romaric esterno sinistro (ruolo peraltro già ricoperto spessissimo nella propria nazionale dall’ivoriano) con Duscher e Renato centrali. Confermato Adriano terzino destro come nel finale di Málaga: soluzione non proprio ortodossa ma che alla fine risulta la meno improbabile nel surrogare Alves, più del centrale adattato Mosquera o del modesto Konko. Mendillibar invece rispetto all’ultima uscita col Getafe recupera Goitom e Luis Prieto, mentre Álvaro Rubio scavalca Vivar Dorado nella corsa per il posto accanto a Borja nel doble pivote.
Gioca bene nei primi minuti il Sevilla, gioca veloce e sorprende il sistema difensivo ospite: su una rimessa Luis Fabiano disattiva il pressing alto del Valladolid, così Romaric ha tempo e spazio sufficienti per pensare la miglior rifinitura; il resto lo fa il magistrale controllo a seguire di Kanouté, l’unico controllo possibile che permetta al maliano di sistemarsi il pallone dal sinistro al destro per la conclusione immediata, un diagonale fuori dalla portata di Villar.
Dopo i primi 10 minuti in cui il Sevilla riesce ad aggirare la difesa alta degli ospiti, la partita progressivamente si riequilibra. Il Valladolid prende le misure, accorcia le distanze fra i reparti, raddoppia sistematicamente con successo e trova anche l’episodio che gli frutta il pareggio: guarda caso il Sevilla prende gol su palla inattiva, una punizione dalla trequarti destra di Canobbio sulla quale la colpa non è certo di Palop che si trova Goitom abbandonato in area piccola ed esce come può, ma di chi lascia lo svedese liberissimo di colpire su una palla del genere. Misteri inspiegabili che, eccetto un’ illusoria interruzione nella prima fase di questa stagione, si ripetono da più di un anno.
La gara entra in una fase in cui non succede più nulla, le squadre si annullano in pochi metri di campo, il Valladolid afissia ma non riesce a elaborare trame decenti (eppure avrebbe la qualità sulla trequarti per ripartire in maniera meno approssimativa e più pericolosa), Jiménez inverte le posizioni di Renato e Romaric cercando di portare l’ivoriano più nel vivo del gioco, ma la situazione si sblocca soltanto agli sgoccioli della prima frazione, quando il Sevilla riesce a far circolare il pallone da un lato all’altro e trovare lo sbocco, da Romaric a Navas, cross del canterano e Kanouté che gira al volo in rete approfittando dell’inettitudine della difesa del Valladolid, che sul cross si abbassa eccessivamente nei pressi del portiere (le difese di PES fanno esattamente la stessa cosa) e lascia il maliano incustodito all’altezza del dischetto.
Il Sevilla chiude definitivamente i conti nella ripresa: subito dopo il cambio Perotti-Duscher (cambio in senso offensivo) Renato può verticalizzare “a palla scoperta”, il che rende un gioco da ragazzi bucare la difesa altissima del Valladolid e permettere a Luis Fabiano (partito a dire il vero in posizione sospetta di fuorigioco) di segnare uno dei suoi gol, tutto freddezza e qualità nell’uno contro uno col portiere.
Non c’è più storia, il Valladolid tira i remi in barca e gioca con un’intensità infima, il Sevilla ha il controllo del pallone, del tempo, di tutto, e si diverte pure: Perotti imita Michael Laudrup in un paio di azioni (occhio, il ragazzo ci sta prendendo gusto), il Sanchez Pizjuán saluta il ritorno di Arouna Koné, e Kanouté chiude con una meritatissima tripletta (ancora assai teneri i centrali del Valladolid), incornata su cross perfetto di Fernando Navarro dalla sinistra.

I MIGLIORI: Re Freddy Kanouté. Purtroppo devo ripetermi per l’ennesima volta: segna tre gol, ma l’importanza di questo straordinario giocatore va ben oltre il fatto “volgare” del gol. I calciatori bravi si dividono in due categorie: quelli che brillano di per sé e quelli che fanno giocare meglio i compagni. I primi possono esaltarti e possono monopolizzare tutte le copertine, i secondi vanno al di là di questi discorsi e sono più semplicemente un tesoro che devi tenerti stretto. Kanouté appartiene alla seconda categoria: sempre uno spettacolo osservare il controllo della situazione che ha sulla trequarti, come viene incontro, tiene palla, temporeggia, riparte, crea spazi e opzioni di passaggio prima inesistenti. Lui ha sempre avuto questo senso del gioco, e aggiungendovi il gol ha completato la trasformazione in campione vero.
Costante la crescita di Romaric: da giocatore timido ad inizio stagione a elemento con un peso sempre maggiore sulla manovra, finalmente comincia a valorizzare la visione di gioco e il sinistro da privilegiato che possiede. Entra nelle azioni dei primi due gol, forse partire da esterno sinistro gli ha dato anche un po’ più di libertà di movimento sulla trequarti, di certo arricchisce la manovra molto di più di quanto non faccia il solista Capel.
Dire che Fernando Navarro gioca bene è un’ovvietà: partita al solito precisissima, perfetto in difesa e pure utile in attacco, dove le sue sortite generalmente son poche ma non prive di proprietà tecnica (il cross per Kanouté in questa occasione, ma pensiamo anche all’azione e al cross sempre per il gol di Kanouté nel derby perso col Betis). Lui sarebbe anche meglio di Capdevila, ma le partite a carte che hanno cementato il gruppo nell’ultimo Europeo si giocavano nella stanza del giocatore del Villarreal…
I PEGGIORI: Male la linea difensiva del Valladolid, in blocco, e deludente anche la trequarti di Mendillibar, specie il da me attesissimo Pedro León, che vagabonda senza costrutto (in tutta la serata non ho capito quali fossero la sua posizione e i suoi compiti) e senza personalità.

Sevilla FC (4-4-2): Palop 6; Adriano 6(Crespo s.v., m.76), Squillaci 6, Dragutinovic 6, Fernando Navarro 7; Jesús Navas 6,5, Renato 6,5, Duscher 6(Perotti 6,5, m.56), Romaric 7; Kanouté 8, Luis Fabiano 6,5(Koné s.v., m.70).
Real Valladolid (4-2-3-1): Justo Villar 6; Pedro López 5,5, Luis Prieto 5, Iñaki Bea 5, Marcos 5,5(Óscar Sánchez s.v., m.82); Borja 5,5(Víctor s.v., m.66), Álvaro Rubio 5,5; Pedro León 4,5(Vivar Dorado s.v., m.66), Canobbio 6, Jonathan Sesma 5,5; Goitom 6.

Goles: 1-0, M.08: Kanouté. 1-1, M.22: Goitom. 2-1, M.43: Kanouté. 3-1, M.57: Luis Fabiano. 4-1, M.70: Kanouté.
Árbitro: Eduardo Jesús Iturralde González (Comité Vasco). Amonestó a los visitantes Goitom (m.25), Pedro León (m.64), Óscar Sánchez (m.88) y Iñaki Bea (m.93) y a los locales Luis Fabiano (m.39), Romaric (m.60) y Adriano (m.76).

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venerdì, marzo 20, 2009

Sorteggi Champions e convocati Spagna-Turchia.

CHAMPIONS LEAGUE

Quarti di finale (7-8 Aprile/14-15 Aprile)

1. Villarreal (ESP) - Arsenal (ING)

2. Manchester United (ING) - Oporto (POR)

3. Liverpool (ING) - Chelsea (ING)

4. Barcelona (ESP) - Bayern Múnich (GER)


Semifinali (18-19 Aprile/5-6 Maggio)

1. Vincente Manchester Utd.-Oporto // Vincente Villarreal-Arsenal

2. Vincente Barcelona-Bayern // Vincente Liverpool-Chelsea

È andata bene o è andata male alle spagnole? Personalmente direi che... è andata. A questo punto della competizione ci son poche considerazioni da fare (tranne quella che vede la strada del Manchester United piuttosto in discesa da qui alla finale: nei quarti come nelle potenziali semifinali, ai Red Devils son capitate sicuramente le avversarie più abbordabili, mentre nell'altro lato del tabellone si scanneranno), si tratta di giocarsela e basta.

Non vedo giocare il Bayern da tantissimo tempo, i ricordi risalgono alla fase a gironi e ai primi mesi della stagione di Bundesliga, ed erano quelli di una squadra estremamente disorganizzata anche se capace di fare male in qualunque momento, prescindendo dalla manovra, contando sul peso degli attaccanti e sulle incursioni di Ribery, probabilmente l'unico fuoriclasse della squadra bavarese. Non posso perciò dirvi come arriverà l'undici di Klinsmann al Camp Nou, posso solo fare valutazioni sulle qualità dei rispettivi giocatori, e in questo senso il Barça dovrebbe partire avvantaggiato. Da tenere d'occhio comunque il fattore-campo: non è comodissimo per i blaugrana giocare la prima in casa, è una situazione che offre ai tedeschi maggiori opportunità di speculare.

E non è per niente comodo neanche per il Villarreal, anzi ne deprime ulteriormente le già ridotte chances, giocare il ritorno all'Emirates. Prevedo una grossa sofferenza per gli uomini di Pellegrini sul piano del ritmo: come successo col Manchester United, è probabile che a centrocampo si impongano i ritmi altissimi degli inglesi, e che perciò il Villarreal, impossibilitato a proporre il suo calcio "sudamericano", venga costretto a una partita di puro contenimento (sicuramente fuori casa avverrà questo). Va detto comunque che le due partite giocate sulla difensiva con lo United furono buone, e che l'Arsenal qualcosa dietro può sempre concederla. In ogni caso pare non impossibile ma molto difficile togliersi dalla bocca l'amarissimo sapore del rigore sbagliato da Riquelme nella semifinale del 2006. Ancora di più contro un Arsenal che dovrebbe arrivare alla sfida recuperando tutti quei giocatori la cui assenza contro la Roma mise in serissimo pericolo la qualificazione.

NAZIONALE

Portieri
: Iker Casillas (Real Madrid); Pepe Reina (Liverpool); Diego López (Villarreal).

Difensori: Álvaro Arbeloa (Liverpool); Sergio Ramos (Real Madrid); Raúl Albiol, Carlos Marchena (Valencia); Juanito (Betis); Capdevila (Villarreal); Piqué (Barcelona)

Centrocampisti: Iniesta, Xavi, Busquets (Barcelona); Silva (Valencia); Xabi Alonso, Riera (Liverpool); Senna, Cazorla (Villarreal).

Attaccanti: Villa (Valencia); Fernando Torres (Liverpool); Fernando Llorente (Athletic Bilbao); Dani Güiza (Fenerbahçe).

Doppio confronto importantissimo quello con la Turchia: con 4 punti almeno fra le due sfide (la prima il 28 Marzo al Bernabeu, la seconda all'Ali Sami Yen il 1 Aprile) la Spagna potrebbe ipotecare la qualificazione.
L'unica novità, sacrosanta, nella lista dei 20, è la convocazione di Diego López, in forma straordinaria e anche come valori assoluti attuali degno di entrare nel podio dei migliori portieri spagnoli.
In attacco non c'è stato il ritorno di Raúl, come invece prospettava Marca: sapete come la penso sulla questione, quindi non mi dilungo oltre. C'è un gruppo consolidato, e non vale la pena rischiare di alterarne gli equilibri per un giocatore che il meglio di sè lo ha già abbondantemente dato.
Alla fine il ballottaggio reale per Del Bosque era quello fra Negredo e Güiza, con vittoria finale per il secondo: il "turco" non attraversa un gran momento, ma il CT ha deciso in questo senso per motivi di continuità rispetto all'Europeo (ma non bisogna esagerare con questo tipo di motivazioni, sennò si rischia di finire come la Francia) e per una questione di varietà di alternative offensive (già più condivisibile: come ariete c'è già Llorente, Güiza offre un gioco diverso). Attenzione comunque: questo quarto posto di attaccante resterà la contesa più accesa in tutte le prossime convocazioni, pensando ai vari nomi in corsa (oltre a Güiza e Negredo, ci sono Bojan e Mata-convocabile anche fra i centrocampisti-, un possibile ritorno in ballo di Sergio García e Luis García, oltre a nomi a sorpresa come Joseba Llorente e, perchè no?, Colunga del Recreativo).
In attesa dei ritorni di Cesc e Puyol, confermati centrocampo e difesa. Mentre la mediana, il reparto principe, resterà molto probabilmente immutato da qui all'eventuale lista per il Mondiale sudafricano, la difesa invece è maggiormente suscettibile di modifiche nel medio-lungo periodo. Marchena e Juanito difficilmente dureranno, e anche Capdevila e Arbeloa potranno venire scalzati nella prossima stagione. La presenza di Piqué non è per niente giustificata dal rendimento di questa stagione (sebbene le ultime due partite abbiano segnalato una crescita del blaugrana), ma guarda proprio al futuro, alla ricerca di un centrale di stazza e anche discreto piede per iniziare l'azione che un po'mancava nella rosa dell'Europeo.

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lunedì, marzo 16, 2009

VENTISETTESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Sporting-Deportivo 3-2: Luis Morán 49'(S); Barral, rig. 51'(S); Sergio, rig. 67'(S); José Ángel 71'(S); Riki, rig. 85'(D).

Racing-Numancia 5-0:
Serrano 17'; Luccin 27'; Zigic 32'; Zigic 40'; Serrano 45'.

Espanyol-Mallorca 3-3:
Arango 39'(M); Callejón 56'(E); Cléber Santana 59'(M); Jurado 70'(M); De la Peña 72'(E); Nené 83'(E).

Betis-Osasuna 0-0

Valladolid-Getafe 1-0:
Canobbio 86'.

Málaga-Sevilla 2-2:
Salva 18'(M); Salva 31'(M); Kanouté 73'(S); Luis Fabiano 84'(S).

Valencia-Recreativo Huelva 1-1 (giocata sabato): Camuñas 55'(R); Pablo Hernández 83'(V).

Pareggio alla Rosaleda nella sfida in chiave europea: fino a un quarto d'ora dalla fine il Málaga sogna addirittura la Champions (doppietta da grande ariete del mitico Salva, tornato a predare dopo una prima metà di stagione quasi tutta in infermeria), ma alla fine il Sevilla, sfruttando anche la superiorità numerica (espulso Calleja per un'entrata da fustigazione su Capel), impone lo spessore dei suoi due grandi attaccanti.
Non spicca il volo il Deportivo, che paga dazio allo Sporting-che-non-pareggia-mai: stavolta gli asturiani non perdono, quindi ecco tre punti, da imputare alla papera di Aranzubia (sbavatura in una stagione fin qui eccellente che lo ha restituito al grande calcio) che favorisce il primo gol, al rigore di Barral e al primo gol nella Liga del talento José Ángel (gran punizione).
Assicura praticamente la salvezza il Valladolid, squadra dal tasso tecnico elevato sulla trequarti, lo abbiamo spesso ricordato e il gol decisivo contro il Getafe, una squisitezza firmata Víctor-Canobbio, lo ribadisce a chiare lettere. Il pasticcio che è la stagione del Getafe ha assunto contorni drammatici, e questo sembra proprio uno di quei casi in cui occorrerebbe cambiare allenatore. Grida vendetta al cielo la posizione di classifica di una squadra con una rosa così buona.
Si diverte per una volta il pubblico del Sardinero, abituato a vedere una squadra operaia più che spettacolare (ma leggere critiche reiterate a Muñiz da parte di chi gli chiede la luna è francamente assurdo: il tecnico racinguista sta facendo il massimo e ha il mio pieno appoggio, forse a qualcuno in Cantabria son venute idee strane dopo la qualificazione alla Uefa dello scorso anno).
Si sarà divertito, ma con un retrogusto molto amaro, anche il pubblico del Montjuic, reduce da una rimonta grandiosa, in 10 contro 11, ma che serve più o meno a nulla in termini di classifica. L'Espanyol gioca meglio del Mallorca, ma paga ancora una volta un'incertezza di Kameni (sul primo gol, pure splendido, del magico mancino Arango) e l'annata catastrofica dei suoi attaccanti (Tamudo, ¿qué pasa?). Non basta così la magia di De la Peña, che mette in piedi un duello di pura classe con Jurado, attestatosi finalmente su livelli consoni (la mia opinione... bastava un po' di fiducia e Manolo non si perdeva un paio d'anni così...).
Non ci si diverte invece, anzi si trema anche quest'anno, al Ruiz de Lopera: il Betis non si trova più e così la condotta ultradifensiva dell'Osasuna (insieme a un po'di fortuna: palo di Mehmet Aurelio) basta all'Osasuna per portarsi a casa lo 0-0.
Non si trema ma ci si deprime al Mestalla. Valencia in piena crisi, contratto e incapace di proporre le combinazioni più elementari nel primo tempo (dall'altra il Recre aspetta soltanto che gli si creino gli spazi in contropiede, come quello del micidiale Colunga che finisce sul palo), colpito da Camuñas in apertura di ripresa e pure dal secondo giallo di Marchena, ma alla fine capace di pareggiare e di meritare pure la vittoria nello sforzo di grande generosità prodotto nella mezzora finale.
Protagonista è il subentrato Pablo Hernández, autore di svariate fughe sulla destra e di un gol sontuoso, azione individuale conclusa da un morbido pallonetto. Pablo aveva fatto vedere ottime cose nel prestito al Getafe l'anno scorso, ma quest'anno era stato finora uno dei più deludenti, autore di prove di scarsissima personalità quando chiamato in causa. Col Recre ha trascinato la sua squadra al pareggio e proposto finalmente il proprio miglior calcio: un calcio fresco e caratterizzato da uno spunto ficcante sul breve, incisivo anche se un po' privo di tenuta sulla lunga distanza (la leggerezza è uno dei suoi punti di forza, ma giocare varie partite di seguito ne annacqua un po'lo spunto, succedeva così al Getafe). La sensazione, con l'ingresso suo e dell'altro canterano Míchel a centrocampo, è stata non tanto di maggior competitività, ma di maggior spensieratezza, una boccata d'aria fresca necessaria per un club oppresso dai pensieri più negativi.


CLASSIFICA

1 Barcelona 66
2 R. Madrid 60
3 Sevilla 51
4 Villarreal 45
5 Atlético 43
6 Málaga 43
7 Deportivo 42
8 Valencia 40
9 Valladolid 39
10 Racing 33
11 Sporting 33
12 Almería 31
13 Athletic 31
14 Recreativo 30
15 Betis 29
16 Mallorca 29
17 Getafe 28
18 Osasuna 26
19 Numancia 23
20 Espanyol 22

CLASSIFICA MARCATORI
Eto'o 23 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 19 (Valencia, 4 rig.)
Forlán 19 (Atlético, 3 rig.)
Messi 18 (Barcelona, 3 rig.)
Negredo 16 (Almería, 4 rig.)

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VENTISETTESIMA GIORNATA: Almería-Barcelona 0-2: Bojan; Bojan.

C’è poco, pochissimo da dire su questa partita, più che una partita un allenamento per il Barça. Un esercizio di pazienza e di stile dei blaugrana, che muovono ossessivamente la palla da un lato all’altro (più stancamente nel primo tempo, con maggior decisione nella ripresa) in cerca dell’uno contro uno di Iniesta e Messi (schierato nel tridente al posto di Henry, a riposo in panchina assieme a Eto’o), col supporto delle incursioni di Alves, in attesa dell’agognata capitolazione di Diego Alves, unico e straordinario baluardo almeriense.
Almería privo della pur minima ambizione, arresosi a una doppietta di Bojan, ora protagonista anche nella Liga coi suoi primi due gol stagionali (straordinario il secondo, non per merito dell’ispano-serbo ma dell’azione che lo precede, un tikitaka nello spazio di un francobollo fra Alves-esterno, Messi-suola/tacco, Iniesta-esterno, e poi di nuovo Alves che smarca Bojan). Fatti i gol, il resto è torello fino al novantaduesimo.

I MIGLIORI: Alves, Iniesta e Xavi i più attivi e continui nel creare il gioco che Bojan, per il resto nullo, concretizza. Messi ci mette un paio di spunti. Spettacolare il primo tempo di Diego Alves, tre interventi importanti, due dei quali ai confini della fantascienza, su Keita e su Piqué. Portiere non perfetto nella presa il brasiliano, non impeccabile tecnicamente, ma quanto a riflessi puri siamo vicini ai vertici assoluti del ruolo.
I PEGGIORI: Negredo abbandonato a sé stesso paga colpe non sue, ma simboleggia la nullità offensiva dell’Almería di ieri sera (giusto una fuga dell’iperveloce Crusat nel primo tempo, conclusa però “alla Crusat”…).

Almería (4-4-1-1): Diego Alves 8, Bruno 6, Acasiete 6, Pellerano 6, Mané 6; Juanma Ortiz 5(José Ortíz s.v., m.64), Juanito 5,5(Corona s.v., m.68), Iriney 5,5, Crusat 6; Uche 5,5; Negredo 5.
Barcelona (4-3-3): Valdés s.v.; Daniel Alves 7, Márquez 6, Piqué 6,5, Sylvinho 6; Xavi 6,5, Touré 6, Keita 6(Gudjohnsen s.v., m.80); Messi 6,5, Bojan 6,5(Eto’o s.v., m.67), Iniesta 7(Hleb s.v., m.83).

Goles: 0-1, m.53: Bojan. 0-2, m.57: Bojan.
Árbitro: Mejuto González. Mostró tarjeta amarilla a Acasiete (m.21), José Ortiz (m.76) y Negredo (m.85).
Incidencias: encuentro correspondiente a la vigésima séptima jornada de Liga de Primera División disputado en el estadio de los Juegos Mediterráneos ante unos 9.300 espectadores.

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VENTISETTESIMA GIORNATA: Atlético Madrid-Villarreal 3-2: Matias Fernández(V); Cani(V); Agüero(A); Forlán(A); Antonio López(A).

Bella partita, strameritata rimonta per uno dei migliori Atlético della stagione.

Manca Ujfalusi fra i padroni di casa, coppia centrale Pablo-Perea come ai vecchi tempi e Heitinga terzino destro. La corsa per il posto accanto all’inamovibile Assunção stavolta la vince Raúl García, mentre dall’altra parte Pellegrini ha grossi problemi di formazione: indisponibili in una botta sola Gonzalo, Godín e Cygan, finisce che Eguren arretra in difesa, mentre nel doble pivote con Senna ci gioca Cani, in un centrocampo ad altissimo tasso tecnico, con Cazorla, Pires e Matias Fernández alle spalle dell’unica punta Rossi (è assente, tanto per gradire, pure Joseba Llorente).
I padroni di casa entrano da subito in partita, e il Submarino va a rimorchio. È prestissimo un monologo colchonero: blando nell’atteggiamento e sin troppo debole in interdizione (Cani piuttosto spaesato in quella posizione), il Villarreal subisce un assedio: si assiste a cose francamente inaudite al Calderón, un Atlético che si riversa in blocco nella metacampo avversaria e propone una manovra armoniosa e ricca di alternative. Cose da pazzi tipo due-tre opzioni di passaggio per il portatore di palla, giocatori che si offrono fra le linee, appoggi e sovrapposizioni, e poi occasioni a grappoli, sfruttando anche l’impreparazione dell’improvvisata coppia di difensori centrali del Villarreal.
Eguren si fa fregare come un pivello dal tipico movimento spalle alla porta di Agüero: quando il Kun mette il corpo fra il pallone e il difensore le possibilità sono due: dribbling secco o fallo guadagnato dall’argentino. Eguren sceglie la seconda, solo che siamo in area di rigore: fortuna che tra i pali degli ospiti c’è un mostruoso Diego López, che sventa in tuffo il rigore di Forlán e che praticamente terrà in piedi il Villarreal per gran parte del match.
In mezzo a un bombardamento costante, succede pure che il Villarreal trovi il vantaggio in contropiede: cambio di gioco di Cazorla, azione caparbia di Javi Venta che conquista il fondo, pase de la muerte per Matias Fernández che insacca a porta vuota (nessuno fra Pablo e Perea segue il movimento inverso del cileno, inspiegabilmente rinculano entrambi verso la porta).
Continua testardamente ad attaccare l’Atlético, anche se con meno lucidità ed entusiasmo, inevitabilmente, mentre il Villarreal tenta di rallentare e congelare il gioco con un possesso-palla speculativo. Pellegrini mette mano al suo undici nell’intervallo: fragile la mediana, comprensibile quindi l’ingresso di Bruno, anche se non si conoscono le motivazioni dell’uscita di Matias Fernández (problema fisico o scelta tecnica?), al posto del quale avanza sulla trequarti Cani.
E, iniziata la ripresa, altra doccia gelata per il Calderón, solo che stavolta il gol ospite è una perla. C’è tutto il Villarreal nell’azione dello 0-2: fraseggio stretto, l’esterno Cani che da sinistra taglia verso il centro della trequarti, uno-due con Rossi, e squisita conclusione in pallonetto dell’aragonese, fin lì fuori partita, sull’uscita di Leo Franco.
L’Atlético però ha una coscienza che si chiama Diego Forlán: come due settimane prima col Barça, è l’uruguagio a risvegliare gli entusiasmi, solo che stavolta tira di destro e colpisce il palo, propiziando col successivo rimpallo sulla schiena di Diego López il tap-in nella porta sguarnita di Agüero.
A questa sveglia poi si aggiunge l’espulsione per doppia ammonizione di Javi Venta, a incanalare la gara sui sentieri prediletti dall’Atlético: giocandosi a una porta sola, Abel spara ora tutte le sue cartucce. Fuori Heitinga, dentro Sinama, difesa a tre con Sinama a destra e Simão a sinistra a farsi tutta la fascia, e poi Banega al posto di Assunção per massimizzare il tasso di immaginazione del centrocampo. L’Atlético chiude in un angolo l’avversario e alla fine trova il giusto premio, prima con Forlán dentro l’area e infine con Antonio López, non proprio un habituée della cosa, che stacca benissimo su un calcio d’angolo dalla sinistra di Simão.

I MIGLIORI: Pur sconfitto, la copertina se la prende inevitabilmente Diego López, che dopo quelli dello scorso turno con l’Espanyol ha rischiato di regalare nuovamente tre punti quasi da solo alla propria squadra. Qualche periodico black-out non può oscurare lo spessore di questo portiere, ad oggi probabilmente il terzo spagnolo dopo Casillas e Reina (che pure non mi entusiasma eccessivamente). Eccellente piazzamento e buona tecnica fra i pali, sobrietà ed efficacia, agilità a dispetto della stazza, qualche incertezza di tanto in tanto invece nelle uscite alte.
Forlán solito trascinatore: se è indiscutibile che la magia capace di risolvere le partite la mette il Kun, è altrettanto indubbio che in termini di quantità (anche sul piano dei gol: sono già 19, ed è pure un giocatore il cui lavoro va ben oltre i gol e che è solito finire le partite con la lingua di fuori) e di mole di gioco (quel pochissimo di manovra che ha l’Atlético dipende in gran parte dal suo movimento tra le linee) l’uruguaiano è il numero uno dell’Atlético. Chissà cosa sarà preso ad Abel a farlo partire in panchina contro il Porto…
Simão sempre fra i più vivaci e produttivi: Diego López gli nega un golazo nel primo tempo, forza i due cartellini gialli per Javi Venta e serve il calcio d’angolo che vale i tre punti. Positivo anche l’ingresso di Banega: dà idee, fluidità e pure verticalizzazioni (l’unico che ha l’ultimo passaggio nelle corde fra i centrocampisti colchoneros). Ma lo sappiamo già che il suo problema non è certamente la mancanza di talento…
I PEGGIORI: Il Villarreal soffre la mancanza dei centrali titolari (uno come Gonzalo non può farsi aspettare di più: la battaglia della Champions lo chiama a gran voce), la coppia Fuentes-Eguren è debole e improvvisata.

Atlético (4-4-2): Leo Franco 6; Heitinga 6,5 (73') Pablo 6, Perea 6, A. López 6,5; Maxi 6(90') Assunçao 6(66'), Raúl García 6,5, Simao 7; Forlán 7, Agüero 6,5.
In panchina: Coupet, Seitaridis, Banega (66'), Camacho (90'), De las Cuevas, Luis García, Sinama (73').
Villarreal (4-2-3-1): Diego López 8,5; Javi Venta 6, Fuentes 5,5, Eguren 5,5, Capdevila 6; Senna 5,5, Cani 6; Cazorla 6, Mati Fdez. 6(46'), Pires 6(64'); Rossi 6(66').
In panchina: Viera, Kiko, Mario (66'), Bruno 5,5(46'), Ibagaza, Nihat, G. Franco s.v.(64').

Goles: 0-1 (19'): Mati Fernández remacha a placer una contra. 0-2 (52'): Cani hace una gran pared con Rossi y pica ante Leo. 1-2 (53'): Agüero, a placer tras un tiro al poste de Forlán. 2-2 (80'): Forlán remata imparable un pase atrás de Maxi. 3-2 (82'): Antonio López cabecea de maravilla un córner.
Árbitro: Iturralde González. Expulsó a Javi Venta (59' y 65'). Amonestó a Assunçao (45'), Senna (46'), Perea (54'), Diego López (62'), Antonio López (76'), R. García (77') y Camacho (91').
Incidencias: Vicente Calderón. 51.000 esp.

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domenica, marzo 15, 2009

VENTISETTESIMA GIORNATA: Athletic Bilbao-Real Madrid 2-5: Robben(R); Heinze(R); autorete Heinze(A); Llorente(A); Huntelaar(R); Huntelaar(R);Higuaín, r

Novanta minuti avventurosi e densissimi di agonismo premiano il Real Madrid, più maturo, concreto e con più talento da mettere sulla bilancia rispetto a un Athletic vittima del suo stesso furore. Eccessivo nervosismo e poca lucidità nel gestire i vari momenti della partita per i baschi, che terminano in nove uomini.

Juande è senza Gago e così arretra Sneijder nel doble pivote, relegando Higuaín in panchina a favore di Marcelo, ancora una volta esterno di centrocampo; Metzelder invece rimpiazza Cannavaro accanto a Pepe. Formazione ormai a memoria per Caparrós, stesso undici della già storica semifinale di Copa col Sevilla, nel preciso intento di ricrearne la magia.
L’idea dell’Athletic, ampiamente prevedibile e dichiarata alla vigilia, è quella infatti di riproporre una gara di intensità esasperata, sfruttando proprio come per la Copa l’atmosfera del grande evento, in questo caso la sfida col nemico di sempre, peraltro reduce dalla disfatta col Liverpool e quindi più vulnerabile psicologicamente, almeno sulla carta.
E i primi 10-15 minuti sono effettivamente di apnea per gli ospiti: il gioco spezzettato sin dai primi minuti non toglie continuità allo sforzo dell’Athletic, ma anzi ne esalta le prerogative, portando a un accumulo di calci d’angolo dai quali forzare situazioni di mischia che, almeno in quest’inizio di partita, vedono la difesa madridista più volte in affanno.
Domina i contrasti e tiene alto il baricentro l’Athletic nel primo quarto d’ora, ma non appena il Madrid riesce a mettere qualche passaggio in fila, cade. I merengues sfruttano quello che è al tempo stesso il loro lato più forte e quello più debole dell’Athletic: sulla fascia sinistra Yeste lascia a desiderare nei ripiegamenti, Sergio Ramos ha via libera per impostare e Robben ha spesso a disposizione l’uno contro uno con Koikili, il quale proprio non riesce a prendere le misure all’olandese. Sullo splendido passaggio profondo di Sneijder Robben ruba il tempo a Koikili, scatta alle sue spalle, lo porta a spasso, penetra in area, si accentra, evita il ritorno di Aitor Ocio e sigilla un magnifico gol con un sinistro sotto la traversa.
San Mamés che si spegne, Athletic che perde la sua linfa vitale, l’entusiasmo (non certo il gioco), Real Madrid che trova gli spazi per distendersi e muovere palla sulla trequarti, come quando ancora Sneijder imbecca Robben, che però stavolta col destro si dimostra assai meno implacabile davanti a Iraizoz (e ovviamente non mancano due compagni, Huntelaar e Marcelo, che in area si sbracciano chiedendo invano a Robben di passare quel maledetto pallone). Perso lo slancio iniziale, poca concentrazione fra i padroni di casa, come dimostra in maniera lampante il secondo gol madridista: sul calcio di punizione di Sneijder dalla trequarti, i baschi sono a zona, ma si dimenticano il verbo “marcare”, e così Heinze sbuca indisturbato in anticipo sull’uscita di Iraizoz.
Pronta reazione zurigorri comunque: Yeste si libera al tiro sulla trequarti, sinistro potente sul quale Casillas opera da manuale (cioè respingendo a lato), ma senza riuscire ad impedire il contro-cross di David López dalla destra sul quale Heinze, col tempismo del grande attaccante ma nella porta sbagliata, interviene in anticipo freddando Casillas. Peccato però che l’episodio che fa rientrare in partita l’Athletic sia anche quello che, a lungo andare, ce lo farà uscire: Yeste infatti non trova di meglio che festeggiare il gol andando a spintonare Casillas che protestava perché l’Athletic aveva avviato l’azione del gol non buttando fuori il pallone con un giocatore madridista a terra. Si potrà dire di tutto, che la spinta non è certo una manifestazione di particolare violenza, che Casillas fa del gran teatro, ma certo è che il rosso Yeste se lo va proprio a cercare con un gesto tanto plateale e inutile.
Ma in undici o in dieci, l’Athletic ha comunque accorciato le distanze, e quindi torna a giocare ogni pallone come se fosse l’ultimo, torna ad avere il fattore psicologico dalla sua: la Catedral esplode quando a fine primo tempo Llorente, chi altri se no?, incorna a rete una punizione dalla trequarti destra di David López. Molti accuseranno Iker, ma ad un’occhiata più attenta sembra più un episodio sfortunato che una papera del portiere madridista (infatti il colpo di testa di Llorente prima sbatte sul palo, determinando perciò un cambio di traiettoria che produce quell’intervento da parte di Iker, un po’con la mano un po’con la testa, apparentemente così goffo).
La ripresa porta con sé un cambio decisamente obbligato fra i padroni di casa: Koikili oltre a non essere in partita ha già preso un giallo, così l’ingresso di Balenziaga diventa una priorità. Chiaro però che, per quanta garra ci possa mettere l’Athletic, il Real Madrid ha gli spazi dalla sua: al primo ribaltamento serio gli ospiti saltano il centrocampo di casa, e così Huntelaar ha l’opportunità per mostrare tutta la propria classe di finalizzatore. Esemplare il rientro sul destro nell’uno contro uno con Iraola (che avrebbe potuto concedergli di più l’esterno forse), chirurgica la conclusione rasoterra che passa fra le gambe di Iraola e si insacca sul primo palo fuori dalla portata di Iraizoz.
Ancora fra la generosità dell’Athletic e il contropiede madridista, fra l’emotività e la logica, a spuntarla è la seconda: al tentativo di controbalzo di Javi Martínez sventato da Iker segue quasi a ruota il contropiede condotto da Robben e ancora una volta concluso con qualità da grande attaccante da Huntelaar che praticamente mette fine alla partita, invalidando l’ingresso di Susaeta.
Da lì alla fine il match è caratterizzato dai tentativi inevitabilmente a vuoto dei padroni di casa e dal quinto sigillo merengue, un rigore procurato da Marcelo (fallo di Iraola, secondo giallo) e trasformato da Higuaín.

I MIGLIORI: Il solito Robben: fa disperare compagni e avversari, ma nelle serate e nel contesto tattico ideale il suo irriducibile individualismo è capace di ammazzare le partite. È la serata degli olandesi, uno Sneijder che torna su livelli consoni, uomo-chiave nell’accelerare e verticalizzare l’azione del centrocampo, e un Huntelaar che ribadisce una freddezza glaciale davanti al portiere avversario (tocca pochissimi palloni ogni partita, ma pesano sempre parecchio).
I PEGGIORI: Non convince la difesa dell’Athletic, Koikili poi si prende un’ubriacatura memorabile da Robben e costringe Caparrós a un cambio di pura emergenza. Combattivo ma trasparente Toquero, infantile per non dire di peggio Yeste.

Athletic (4-4-2): Iraizoz 6; Iraola 5,5, Aitor Ocio 5,5, Amorebieta 5,5, Koikili 4(Balenziaga 6, min. 46); Javi Martínez 6, Orbaiz 5,5(Susaeta s.v., min. 56), David López 6(Gurpegi s.v., min. 52), Yeste 5; Toquero 5, Llorente 6.
Real Madrid (4-4-1-1): Casillas 6; Sergio Ramos 6,5, Pepe 6, Metzelder 6, Heinze 6; Robben 7,5(Faubert, min. 66) Lass 6,5, Sneijder 7, Marcelo 6,5; Raúl 5,5(Higuaín 6, min. 64), y Huntelaar 7(Parejo s.v., min. 79).

Goles: 0-1, Robben (min 22), 0-2, Heinze (min 22), Heinze (min 36 en propia puerta), 2-2, Llorente (min 45), 2-3, Huntelaar (min 47), 2-4, Huntelaar (min 61), 2-5, Higuaín (min 84 de penalti).
Árbitro: Muñiz Fernández (C. Asturiano). Amonestó por parte del Athletic a Iraola (min. 4), Koikili (min. 5), Aitor Ocio (min. 37), Javi Martínez (min. 38), Amorebieta (min. 56) y Gurpegui (min. 88). Y además expulsó a Yeste (min. 37), Ion Vélez (min. 57) y Luciano Marín (min. 71). Amonestó por parte del Real Madrid a Huntelaar (min. 40), Wesley Sneijder (min. 45), Parejo (min. 81) e Higuaín (min. 82).

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venerdì, marzo 13, 2009

Protagonisti: Llorente (Athletic Bilbao)

Ospitiamo con piacere e gratitudine un nuovo apporto "esterno": Edoardo Molinelli, alias Edo 14, curatore del blog non ufficiale sull'Athletic Bilbao (blog appassionato ma sempre competente e obiettivo, un punto di riferimento per chi desidera seguire l'attualità del club basco), ci offre un pezzo su Fernando Llorente, sicuramente una delle note emergenti di questa stagione di calcio spagnolo. Buona lettura.

Il gigante è finalmente buono.



Nome: Fernando Llorente Torres.
Luogo e data di nascita: Pamplona (Spagna), 26-2-1985.
Altezza: 1,95 m.
Peso: 94 kg.
Ruolo: centravanti.
Carriera: Baskonia (2003-2004), Bilbao Athletic (2004-2005), Athletic (gen. 2005-

La storia del calcio è piena di giovani talenti che si sono persi lungo la strada verso il successo e la gloria, meteore transitate lasciando scarsissime tracce di sé nei campionati in cui hanno militato. Ricchezza improvvisa, scarsa tenuta mentale, sfortuna, tutti elementi che possono condurre una fulgida promessa ad imboccare precocemente il viale del tramonto e a diventare buona solo per servizi giornalistici del tipo “Che fine ha fatto?” o “Chi l’ha visto?”.
Fernando Llorente ha fortemente rischiato di fare questa brutta fine, di ritrovarsi cioè nel dimenticatoio, dopo alcuni lampi di gran classe dispensati all’esordio, a causa di un carattere tanto timido e fragile quanto gigantesco e potente è il suo fisico. Nessuno, infatti, ha mai messo in dubbio le evidenti qualità tecniche e atletiche di questo centravanti moderno, un puntero atipico capace di coniugare il gioco spalle alla porta con una predisposizione al dialogo e alla ricerca dell’azione palla a terra che pochi numeri 9 posseggono. Al contrario, dopo le sue prime apparizioni con la maglia dell’Athletic (correva l’anno 2005 e in panchina per i biancorossi c’era il mai troppo rimpianto Ernesto Valverde) si sprecarono i paragoni, spesso spropositati e fuori luogo: novello Van Basten, Ibrahimovic bianco e altre trombonate del genere, che forse caricarono di troppe responsabilità quel lungagnone di quasi 2 metri con la faccia da bambino. Le due stagioni successive furono deludenti e piene di incomprensioni con i molti allenatori succedutisi alla guida della squadra, in particolare col vecchio santone Clemente che lo accusò apertamente di non mettere grinta in ciò che faceva. Critiche giuste, col senno di poi, ma che rischiarono di bruciare un ragazzo psicologicamente debole, che trovava grandi difficoltà ad imporsi man mano che la fiducia dello staff tecnico e del pubblico andava scemando.
Per fortuna, l’arrivo di Caparros e l’addio di Urzaiz, che lasciava al solo Llorente il ruolo di punta di peso, hanno avviato un lungo periodo di maturazione e presa di coscienza nei propri mezzi che ha portato “Madari” (soprannome che significa pera, giacché la Rioja, regione da cui proviene, produce pere di ottima qualità) a diventare lo splendido centravanti che tutta la Liga sta iniziando ad ammirare. In pratica, il gioco dell’Athletic ruota tutto intorno al numero 9, sia quando lo si cerca con il pallone lungo dalle retrovie, sia quando viene preso come riferimento per i cross dalle fasce, sia, infine, quando i piedi buoni della squadra (Yeste, Orbaiz, Susaeta) decidono di triangolare o di tentare degli scambi rasoterra con lui. Sarà banale dirlo, ma ciò avviene perché Llorente sa fare di tutto e sempre con grande qualità. Nella difesa del pallone è ormai un maestro ed è raro che un difensore riesca ad anticiparlo quando prende posizione, anche perché non è facile rubare il tempo a un colosso dalle movenze rapide come lui; ecco quindi che i suoi compagni, nelle occasioni in cui non hanno grandi opzioni di passaggio, ricorrono spesso e volentieri al pelotazo, sicuri che Nando riuscirà a spizzare la palla per l’inserimento di un trequartista o quantomeno a difenderla mentre la squadra sale. Dotato di una velocità non disprezzabile e di una tecnica eccellente, se rapportata all’imponenza del fisico, Llorente non disdegna le percussioni palla al piede, soprattutto partendo da sinistra per accentrarsi e cercare la conclusione o l’assist con il destro, ed è un buon dribblatore (gli riesce in particolare il tocco destro-sinistro a togliere il tempo al difensore).
Il riojano rappresenta l’evoluzione della boa vecchio stile e, a ben guardare, è un giocatore con caratteristiche uniche nel panorama spagnolo: imponente ma agile e rapido, bravo di testa e di piede, passa senza problemi dal duello rusticano coi centrali avversari al dialogo nello stretto con i compagni, dalla “torre” che premi l’inserimento di un compagno alla conclusione da fuori, dalla protezione della sfera spalle alla porta all’uno contro uno col proprio marcatore. Un centravanti moderno, insomma, in grado di garantire un apporto concreto al gioco della squadra e una forte pericolosità nei pressi della porta altrui.
Difetti? Il rapporto non proprio eccezionale con il gol, soprattutto. Solo quest’anno Llorente ha tenuto una media realizzativa da grande attaccante (un gol ogni due partite) e spesso ha mostrato di non avere il “killer instinct” del bomber di razza, tuttavia il numero di assist che fornisce ai compagni e il peso incredibile che ha nello sviluppo della manovra dell’Athletic fanno passare questa pecca in secondo piano.

Nato a Pamplona ma cresciuto e vissuto nella piccolissima cittadina riojana di Rincon de Soto, Fernando Llorente muove i suoi primi passi come calciatore nel Funes, squadra giovanile navarra, perché nel suo paese non esistono formazioni di categoria infantil. Dopo essere passato al Club Atletico River Ebro, a 11 anni viene notato dall’ex giocatore dell’Athletic José Maria Amorrortu che, bruciando la concorrenza di Osasuna, Espanyol e Barcellona, lo porta a Bilbao dove viene inserito nella squadra Alevin. Compie tutta la trafila nelle giovanili biancorosse e, nella stagione 2003/04, esordisce a 18 anni nel Baskonia, filiale di Terza Divisione del club basco, disputando un ottimo torneo nel quale segna 12 gol in 33 partite (da notare il suo ottimo feeling in campo con Joseba Garmendia, altro giocatore dell’attuale prima squadra bilbaina). L’anno successivo passa al Bilbao Athletic, in Segunda B, ma non fa in tempo a completare la stagione perché il tecnico dell’Athletic, Ernesto Valverde, lo incorpora alla prima squadra a inizio 2005 dopo aver litigato con Gorka Azkorra, all’epoca riserva di Urzaiz.
Il debutto con i Leoni è folgorante: esordio il 16 gennaio in Athletic-Espanyol 1-1 con gli applausi del San Mamés, tripletta dopo tre giorni in Copa del Rey col Lanzarote, primi gol in campionato a marzo contro il Levante. La stagione si chiude con 3 reti in 15 partite di Liga, ma più delle cifre è la qualità del gioco del ventenne centravanti a lasciare stupiti molti addetti ai lavori. A coronamento della sua stagione, Llorente viene chiamato a disputare i Mondiali under 20 con la Spagna e, nonostante l’eliminazione della Roja ai quarti di finale, vince la Scarpa d’argento come vice-cannoniere alle spalle di un certo Leo Messi. Dopo gli anni difficili con Clemente e Mané, nei quali somma la miseria di 4 gol in due stagioni liguere, l’arrivo di Caparros segna l’esplosione tanto attesa del biondo ariete navarro: 11 gol in 35 partite l’anno scorso, 11 in 22 incontri in questa temporada, senza scordare le reti in Coppa Del Re (5 totali, 4 nell’attuale edizione del trofeo).
I suoi evidenti miglioramenti fanno sì che Vicente Del Bosque lo convochi nella sua nuova Seleccion a novembre, facendolo esordire al 70’ dell’amichevole vinta per 3-0 contro il Cile; il suo primo gol con la nazionale spagnola arriva alla seconda presenza, l’11 febbraio del 2009, nell’amichevole di lusso contro l’Inghilterra.
Oltre ai due gettoni con la maglia delle Furie Rosse, Llorente ha finora collezionato anche 5 presenze (condite da 1 gol) con la Selezione basca.

EDOARDO MOLINELLI

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Barça e Villarreal: survivors.

In questa sempre più imbarazzante versione aristocratica della FA Cup che è diventata la Champions League, Barça e Villarreal affacciano la testolina chiedendo permesso. Non è un bottino particolarmente esaltante, ma questo passa il convento, accodarsi al carrozzone inglese prego. Il Barça (pur non essendo la miglior squadra del mondo: quella si chiama Manchester United, e di certo nemmeno il Liverpool è inferiore ai blaugrana) ha più che legittime ambizioni di intrusione, mentre il Villarreal e il suo futbol in punta di piedi dovranno sperare in un buon sorteggio per replicare la leggenda del 2006 (dove, si badi bene, avevano una squadra nettamente inferiore a quella di adesso, non inganni Riquelme).

Le note dolenti vengono dalla capitale: uscito nel grigiore più assoluto l’Atlético (non ho potuto vedere la partita ma dagli highlights sembra non abbiano creato nemmeno una palla-gol seria… poi certo sconcerta leggere che Forlán è partito dalla panchina, e per scelta tecnica), il Madrid sprofonda negli abissi. Sono cinque stagioni che la squadra che ha fatto la storia di questa competizione non passa gli ottavi. La misura è colma e il 5-0 complessivo incassato dal Liverpool è la più umiliante condanna per una società che in questi ultimi anni, al di là di due campionati consecutivi, non ha fatto altro che accatastare giocatori spesse volte non irresistibili o poco funzionali ma comunque pagati a peso d’oro, allenatori triturati dalla mancanza di programmazione e dirigenti fanfaroni quando non al limite della disonestà.
Vada come vada la Liga di quest’anno, quest’ennesima uscita dalla Champions deve suonare come una condanna senza appello. Condanna che però va in primo piano soltanto nelle nostre considerazioni di appassionati di calcio spagnolo, perché agli occhi della generalità degli spettatori sicuramente risalta nettamente la straordinaria, antologica, meravigliosa prestazione del Liverpool, specialmente in un primo tempo che ha spazzato via ogni dubbio e che nella sua travolgente potenza ha persino fatto passare in secondo piano gli evidenti errori arbitrali che hanno viziato i primi due gol dei Reds. Una differenza di ritmo spaventosa che ha esemplificato al meglio quella esistente fra Liga e Premier, sebbene nel calcio non vinca necessariamente chi gioca a maggior velocità (diffidate quando sentite frasi di questo tipo: si può essere superiori anche giocando a passo di lumaca, pensate al Brasile o anche alla Spagna campione d’Europa).
Limitatisi a una partita di mero contenimento al Bernabeu e pure premiati eccessivamente in una sfida che aveva tutti i contorni dello 0-0, gli uomini di Benítez al ritorno hanno sorpreso un Madrid che si aspettava un avversario alla ricerca del contropiede. Invece no, il primo passo lo hanno fatto i padroni di casa, e che passo: col sangue agli occhi, gli inglesi hanno stavolta applicato la loro consueta disciplina tattica a una partita ultra-offensiva. Distanze perfette fra reparti installati in pianta stabile nella metacampo avversaria, un Mascherano che si conferma Maradona degli interdittori e che con Xabi Alonso forma una coppia da sogno, inappuntabile nell’accorciare verso gli altri reparti e nel far viaggiare il pallone a velocità altissime; oltre a questo, imprevedibilità, tantissima imprevedibilità dalla trequarti in su.
Del Liverpool generalmente non convinceva una certa rigidità nell’azione offensiva, a fronte invece di squadre come Manchester United e Arsenal capaci di stuzzicare maggiormente la fantasia con una grande mobilità degli uomini d’attacco, ma martedì il punto di forza dei Reds è stata proprio la capacitàdi togliere punti di riferimento al sistema difensivo avversario. Gerrard a dettare legge tra le linee, Torres come suo costume portato a “svuotare” l’area con movimenti in appoggio alla trequarti o tagli dal centro verso l’esterno e viceversa, ma senza mai togliere peso, perché dalle fasce tagliavano due punte di ruolo come Babel e Kuijt, eccellenti sia nel sacrificio difensivo che nel coordinare i propri movimenti con gli attaccanti. Insomma, una creazione e una gestione degli spazi esemplare, rafforzata da un’intensità di gioco cui il Madrid non ha retto.
Presi in mezzo, Lass e Gago non sapevano dove coprire, e la difesa è rimasta esposta alla figuraccia (vedi Cannavaro, positivo in questa stagione ma nell’occasione in versione “prendi la pensione e scappa”). Disorientati dall’atteggiamento avversario, i merengues si sono trovati persino impossibilitati ad iniziare l’azione dalla difesa, Sneijder (schierato trequartista) non ha mai trovato una connessione con Gago e Lass, Robben (sostituito a sorpresa a fine primo tempo, a favore di Marcelo, l’unico positivo della serata assieme a un Iker oberato di lavoro) praticamente non ha avuto palloni giocabili, l’attacco è stato sin dall’inizio condannato dalla mancanza di peso, con Raúl incapace di competere coi due centrali e pure troppo distante in alcuni momenti da Higuaín, che ha iniziato sulla fascia sinistra.
Il secondo tempo, aperto dal gran gol di Gerrard, ha visto un Madrid con qualche metro di campo in più, regalato dal Liverpool soltanto per potersi guadagnare gli spazi per il contropiede finalizzato dal rincalzo Dossena che ha massacrato la partita.

Quando il Real Madrid scende, il Barça sale, e viceversa: è una legge scientifica che ogni appassionato di calcio spagnolo conosce bene. Quindi se il Madrid tocca il fondo, il Barça esce dalla propria crisi in maniera imperiosa. Una ventina di minuti al massimo, manifesto del calcio blaugrana, cancellano con 4 gol un Lione che certo non è l’ultimo arrivato, ma che ben presto dopo il fischio d’inizio si trova in soggezione.
Non è il Barça “liquido” del Vicente Calderón, è tornato il Barça che occupa militarmente la metacampo avversario. Toulalan, Makoun e Juninho si trovano eccessivamente schiacciati verso la propria difesa, i collegamenti con Benzema, tanto devastante all’andata, saltano, Cris e Boumsong non accorciano, non anticipano e vanno a vuoto (l’esatto opposto della prestazione autorevolissima dell’andata), Messi (sempre meno attaccante di fascia e solista e sempre più trequartista e uomo-squadra) prende palla tra le linee e il sangue comincia a scorrere. Poi c’è anche Iniesta che gioca un altro partitone da mezzala sinistra (in questo momento è la coppia migliore quella con Xavi), dando un’altra via di fuga al gioco del Barça oltre a quella del lato destro, il che rende molto più difficile per gli avversari distribuire le proprie attenzioni in chiave ostruzionistica.
Il pressing torna costante e molto alto (eccellenti poi sia Márquez che-finalmente-Piqué nell’operare la chiusura laterale quelle volte in cui il contropiede del Lione riesce a saltare il primo pressing e le coperture in seconda battuta di Touré), il Barça rimane lì e la continuità di gioco blaugrana fa da subito presagire quei gol che nel primo tempo arrivano in serie: doppio Henry, un “normale” assolo di Messi e poi Eto’o.
A questo punto però subentra il Lato Oscuro del Barça: due gol regalati fra fine primo tempo e inizio ripresa (il primo una dormita su calcio d’angolo che permette a Makoun di saltare indisturbato; il secondo un inserimento di Juninho liberato da un velo di Benzema su un’azione comunque viziata da un fallo iniziale del Chelito Delgado su Iniesta), inammissibili per una squadra che si vorrebbe matura per vincere la Champions. Maturità che manca anche nella gestione di questo ritorno in partita del Lione: non esageriamo se diciamo che dopo il gol di Juninho ci sono stati dieci minuti buoni di panico vero e proprio nelle file blaugrana, che avrebbero potuto seriamente mettere in pericolo la qualificazione.
Non si hanno parole a vedere infatti una squadra che in vantaggio di due gol si mette a giocare da una porta all’altra cedendo campo ai contropiedi avversari. Una fase di impazzimento che fortunatamente viene superata nel quarto finale di partita, quando il Barça riguadagna le posizioni predilette e gioca con maggior tranquillità, difendendosi col pallone.

Non è più la fase in cui il Villarreal era la Cenerentola invitata al gran ballo: nonostante certi servizi ne sottolineino inevitabilmente il folclore (in trasferta ad Atene c’erano 50 tifosi 50, ognuno dei quali conosciuto per nome e cognome dai giocatori della rosa), la squadra di Pellegrini è ormai rodata a certi livelli, possiede uno spessore indiscutibile e giocatori di esperienza internazionale.
Per questo la vittoria di Atene non è da considerarsi un’impresa, ma semplicemente l’affermazione di una squadra superiore su una inferiore, affermazione che era già nelle premesse della gara d’andata, decisamente ingenerosa col Submarino. A dire il vero questa non è stata nemmeno una grande partita del Villarreal, ha pesato più la maggior qualità nel concretizzare gli episodi che un effettivo dominio.
Il primo tempo è andato praticamente perso (si registrano solo un gol annullato ingiustamente a Ibagaza da una parte e un gran intervento di Diego López su Mantzios dall’altra), bloccato su ritmi bassi e una volontà di osare esageratamente contenuta da entrambe le parti.
Il Villarreal sblocca la situazione ad inizio ripresa, con una eccellente azione manovrata sulla fascia sinistra (attaccata con grande frequenza tutta la serata, Pellegrini cerca la superiorità numerica con le sovrapposizioni di Capdevila e gli spostamenti in zona di Giuseppe Rossi) conclusa con un bel sinistro a rientrare sul primo palo scagliato da Ibagaza dal limite dell’area.
Gestisce con la mentalità peggiore possibile il vantaggio il Villarreal: basta vedere subito dopo la ripresa del gioco come i due attaccanti si abbassino quasi dietro il cerchio di centrocampo per capire che la squadra si schiaccia volontariamente nella propria area, e invita il Panathinaikos all’assedio. Assedio veemente che frutta subito il pareggio, con l’interessante Mantzios (ottima tecnica, Fuentes e Godín faticano a prendergli le misure spalle alla porta) che svetta su Godín su calcio d’angolo.
La conferma dell’errata gestione psicologica dello 0-1 da parte del Villarreal si ha indirettamente proprio subito dopo il gol di Mantzios. Rimessa palla al centro infatti il Villarreal si riappropria immediatamente del pallone: il gol decisivo però non viene da una delle lunghe fasi manovrate nella metacampo avversaria, ma da un contropiede orchestrato con classe da Ibagaza e Joseba Llorente: eccellente la conduzione dell’azione da parte dell’argentino, che sceglie l’uomo giusto a cui passarla, il momento e anche la misura del tocco (l’avesse toccata rasoterra non sarebbe potuta filtrare; dovendola alzare deve dare la forza e l’altezza giusta, l’unico modo in cui Llorente può controllarla a seguire e calciare in corsa. Il minimo errore nella scelta o nell’esecuzione dell’azione avrebbe sicuramente fatto sfumare il contropiede o comunque favorito il recupero di un difensore greco. Vedendola in diretta sembra un’azione facile facile, ma ci vogliono qualità tecnica e capacità di lettura del gioco non all’altezza di tutti), freddo e chirurgico il basco.
Due elementi che meritano una celebrazione: il “Caño”, da sempre uno dei giocatori esteticamente più appaganti della Liga, ha trovato la meritata ribalta internazionale, scavalcando nelle gerarchie di Pellegrini le altre mezzepunte: più svelto di Pires e con miglior lettura del gioco di Cani e del deludentissimo Mati Fernández, ora il partner migliore di Cazorla è lui.
Joseba Llorente invece non offre classe ed invenzioni, ma più prosaicamente presenza offensiva, quella che ha sempre garantito quest’anno a dispetto di un certo scetticisimo (anche da parte mia) di inizio stagione. Anche questi 90 minuti parlano chiaro: sbagliata la scelta di Pellegrini che parte con un Nihat che non si regge in piedi, Llorente entra ad inizio ripresa e corregge l’errore. Attaccante scarno ma essenziale, tecnicamente modesto ma sempre pronto in area di rigore, bravo a offrire profondità e sempre fortemente implicato anche in fase di non possesso (al Valladolid oltre ai gol è mancato il suo lavoro in pressing), uno su cui si può sempre contare, magari in sede di pianificazione un rincalzo di garanzia per un forte centravanti che arrivasse dal prossimo mercato.
Nemmeno la gestione del secondo vantaggio e del finale da parte del Villarreal è impeccabile: tutti dietro, rinvii senza pensarci invece che una sana melina, ma il Panathinaikos ormai ha poco tempo, ci crede poco e ha poca qualità da spendere a difesa avversaria schierata, seppure schierata male.

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lunedì, marzo 09, 2009

VENTISEIESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Deportivo La Coruña - Racing Santander 5-3: 1' Pereira (R), 24' Juan Rodríguez (D), 33' Zigic (R); 51' Riki (D), 58' Lafita (D), 59' Riki (D), 67' Verdú (D), 79' Berrocal (R).

Mallorca - Real Betis 3-3: 29' M. Gonzalez (B), 31' Mehmet Aurélio (B), 69' Arzu (B), 72' Castro (M), 75' Webó (M), 82' Castro (M).

Numancia - Valencia 2-1: 10' Vicente (V), 42' Aranda (N), 52' Barkero (N).

Osasuna - Sporting Gijón 1-2: 8' Barral (R), 19' Castro (R), 29' Nekounam rig. (O).

Recreativo de Huelva - Valladolid 2-3: 10' Sesma (V), 24' Goitom (V), 25' Adrián Colunga pen. (R), 48' Goitom (V), 87' Camuñas (R).

Sevilla - Almeria 2-1: 5' Kanouté (S), 62' Renato (S), 70' Negredo rig. (A).

Getafe - Malaga 1-2: 30' Eliseu (M), 45' Baha, 74', Contra (G).

Il Sevilla continua senza brillantezza ma spedito la sua marcia verso i preliminari di Champions: quella contro l’Almería potrebbe essere una vittoria come tante altre in questa stagione, due zampate isolate in mezzo a poco gioco (e a una certa sofferenza nella ripresa, quando gli ospiti decidono di passare all’attacco e rischiano la rimonta), ma tuttavia sono emersi alcuni dettagli interessanti che fanno almeno sperare (voglio essere ottimista) che Jiménez non sia del tutto contento di come ha portato a giocare la propria squadra in questa stagione. Per chi non se ne fosse accorto infatti, il Sevilla di ieri ha cambiato modulo, e non son stati cambiamenti di poco conto, sempre che abbiano un seguito.
Dal 4-4-2 classico gli andalusi son passati a una sorta di 4-3-2-1 flessibile, pronto a mutare in un 4-5-1 o nel 4-4-2 di sempre a seconda delle occasioni. Romaric non ha giocato nel doble pivote ma ha tenuto una posizione più defilata sulla sinistra, Renato si è mosso da mezzala destra (con la consueta tendenza a inserirsi a ridosso di Kanouté) mentre Duscher ha fatto un passo indietro per restare a protezione della difesa. La stessa posizione di Jesús Navas poi non era quella di “extremo” incollato alla linea del fallo laterale, ma vagamente più accentrata, mentre Perotti (promettente, corporatura e movenze simili a Navas ma gioco più da seconda punta; ha già superato nelle gerarchie Acosta, che pure sembrava ben lanciato dopo essere tornato dall’infortunio) fungeva a tutti gli effetti da mezzapunta, partendo dal centro-sinistra.
Mi dilungo su queste modifiche perché potrebbero segnalare un cambio di tendenza abbastanza significativo nello stile di gioco, da un calcio fondato sulle fasce a uno più elaborato centralmente. Il Sevilla negli ultimi anni è stato forse l’unica squadra della Liga a giocare un 4-4-2 con esterni di centrocampo così larghi e offensivi, quasi delle ali, ma in questa stagione il modello si è inceppato. Privo di dinamismo e di movimento senza palla fra i vari reparti, il 4-4-2 sevillista è diventato estremamente rigido, quasi da calciobalilla. Difficoltà a trasmettere il pallone in avanti se non attraverso i lanci lunghi verso Kanouté, esterni di centrocampo abbandonati all’uno contro uno; l’eredità di Alves non è stata raccolta, nessuno riesce a iniziare l’azione in maniera limpida, e i centrocampisti centrali (Maresca, Fazio, Duscher, Romaric) chiamati a surrogare indirettamente Alves hanno deluso nel compito.
Perché allora non modificarne la disposizione in campo cercando così nuove linee di passaggio? È quello che si è intuito dalla partita di ieri: Romaric (a passi piccolissimi, ma la crescita dell’ivoriano è costante), un po’esterno un po’mezzala, ha stretto spesso in aiuto a Duscher, così come Renato, e va detto che seppure senza dare spettacolo, il Sevilla del primo tempo ha avuto un possesso-palla più continuo e disinvolto rispetto a quello abituale, con un pizzico di imprevedibilità in più sulla trequarti. È qualcosa che in misura microscopica già si intravedeva nelle ultimissime uscite, soprattutto con l’inserimento di Perotti, e che può essere anche un segnale incoraggiante se intende rompere la prevedibilità che sta affliggendo il Sevilla in questa stagione. Un cambio tattico che comunque potrebbe venire prontamente sconfessato, dato che Luis Fabiano è pronto a tornare a pieno regime e, con due pesi da novanta come lui e Sua Maestà Kanouté, diventa assai più “politicamente scorretto” rinunciare alle due punte (tanto più che nella ripresa, giocata tutta sul contropiede, Jiménez torna al 4-4-2 puro con gli ingressi di Capel e Luis Fabiano).

Málaga sempre più stupefacente, espugna il Coliseum inguaiando un Getafe che in tutta la stagione non ha mai trovato continuità e sottoutilizza paurosamente quelle che sarebbero le proprie potenzialità. Inevitabile chiamare in causa Víctor Múñoz, tecnico pragmatico ma mai capace di fare la differenza nella propria carriera: il presidente Ángel Torres, non aduso agli esoneri, gli conferma la fiducia, ma è difficile non pensare che il licenziamento sia in dirittura d’arrivo.
Festino al Riazor, pure il Racing, squadra solitamente portata alla compostezza se non al grigiore, si fa contagiare. Decisivo l’ingresso di Riki, da segnalare l’esordio al gol di Jesús Berrocal, prelevato a gennaio dalla cantera madridista, centravanti classico, campione d’Europa Under 19 nel 2007 (riserva dello sciagurato Nsue, non fece a dire il vero una grande impressione, come tutti i suoi compagni del resto).
Deportivo che si consolida in Uefa, al contrario di un Valencia il cui tracollo comincia a farsi inquietante: in lotta per i posti-Champions fino a un paio di giornate fa, ora comincia a vedere lontano anche il contentino della Uefa dopo la sconcertante sconfitta in rimonta sul campo di un Numancia in piena serie negativa (ancora di più dopo il cambio di allenatore), già dato da tutti per spacciato (giova sempre ricordare comunque che il club di Soria affronta la Primera con un bilancio che fra le 42 squadre di Primera e Segunda è superiore solo a quello dell’Eibar...), ma trascinato da Aranda, unico attaccante di livello della rosa di Pacheta.
Al Valencia i giocatori da tempo non ricevono alcuno stipendio né sanno quando e se lo riceveranno. Si è allo sbando, ed Emery non riesce più a controllare la situazione col “buenismo” di inizio stagione. La squadra è sempre stata fragile e troppo lunga sul campo, ma ora anche la fiducia è andata via. Il rischio concreto è che l’allenatore salti (la società oggi lo ha confermato con un comunicato ufficiale, notoriamente un brutto segnale), e così mancherebbe l’unico punto di riferimento dal quale poter ripartire l’anno prossimo con una squadra necessariamente ridimensionata ma almeno rifondata.
Partita pazza anche a Maiorca, con la rimonta dei padroni di casa su un Betis incapace di tirarsi fuori dai bassifondi. Cambiano la gara Webó e “Chori” Castro, che conferma i progressi della Copa contro il Barça e si propone come carta in più a disposizione di Manzano nella corsa-salvezza.
Importantissimo colpaccio dello Sporting a Pamplona, di lusso i gol di Barral e Diego Castro; molto pesante anche l’affermazione del Valladolid, che quasi assicura la salvezza (ormai funziona pure Goitom).


CLASSIFICA
1. Barcelona 63
2. R. Madrid 57
3. Sevilla 50
4. Villarreal 45
5. Málaga 42
6. Deportivo 42
7. Atlético 40
8. Valencia 39
9. Valladolid 36
10. Almería 31
11. Athletic 31
12. Racing 30
13. Sporting 30
14. Recreativo 29
15. Getafe 28
16. Betis 28
17. Mallorca 28
18. Osasuna 25
19. Numancia 23
20. Espanyol 21

CLASSIFICA MARCATORI
23 reti: Eto'o (Barcellona)
20 reti: Villa (Valencia)
18 reti: Forlán (Atl.Madrid), Messi (Barcellona)
16 reti: Negredo (Almería)
14 reti: Henry (Barcellona), Higuaín e Raul (Real Madrid)
12 reti: G. Rossi (Villarreal)
11 reti: Kanouté (Seville), Agüero (Atl.Madrid)
10 reti: Llorente (Ath Bilbao)

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