martedì, gennaio 25, 2011

AVVISO.

Devo sospendere gli aggiornamenti del blog fino a inizio febbraio. L'approfondimento deve essere sempre alla base di questa pagina, e in questo momento non dispongo del tempo sufficiente per garantirlo. Continuo come sempre la mia collaborazione col Guerin Sportivo.

Grazie
Valentino

sabato, gennaio 08, 2011

Provaci ancora Loti!

Il Deportivo la Coruña è dodicesimo, a 21 punti, ben 8 di vantaggio sul Zaragoza terzultimo. Dopo la goleada incassata al Bernabeu avevamo lanciato l’allarme, segnalando quella galiziana fra le maggiori indiziate per la retrocessione. Cos’è cambiato da allora? Niente. Cioè, in realtà il modulo, perché Lotina è passato alla difesa a cinque, e da lì in poi, dalla decima giornata in casa del Levante, il Deportivo ha totalizzato due sconfitte, due pareggi e quattro vittorie. Però chi vede giocare continua ad avere sotto gli occhi una squadra poverissima, e in alcuni casi, come l’ultima clamorosa a San Mamés, certe vittorie non riesce proprio a spiegarsele in termini razionali. Mah, sarà la fantomatica pissicologia, però i risultati sono cambiati, questo è innegabile.

Sì, perché l’abito non fa il monaco, e il modulo lo fanno sempre i giocatori. Questo Depor con la difesa a 5 è decisamente più debole del Depor con la difesa a 5 che svoltò a metà della stagione 2008-2009, con un girone di ritorno magnifico che lo sollevò di peso dalla zona retrocessione portandolo all’Intertoto.
Quel Deportivo aveva come difensori, da destra verso sinistra: Manuel Pablo-Lopo-Pablo Amo-Coloccini-Filipe. A centrocampo Sergio e De Guzmán in mezzo, Wilhelmsson(acquisto invernale) e Lafita a sinistra, in attacco Xisco. Ciò che rendeva valida la proposta di quel Depor era la presenza di Filipe come regista occulto, capace di portare palla e creare superiorità anche per linee interne, nonostante il ruolo di partenza di laterale, e assieme a questo, la libertà di movimento dei due esterni di centrocampo, che liberati dalla difesa a 5 e dalla presenza di terzini capaci di coprire tutta la fascia, potevano tagliare e svariare su tutto il fronte offensivo, con una certa imprevedibilità per le difese avversarie. Soprattutto Lafita, approfittando dell’infortunio prolungato di Guardado (purtroppo una costante anche nel Deportivo attuale), disputò una grande seconda metà di stagione, più che Wilhelmsson.La relativa sicurezza nella retroguardia, permetteva a quel Deportivo di aspettare il suo momento con pazienza.

Tutto questo però ora manca, e il Deportivo è una squadra che fa una fatica tremenda ad accorciare fra i reparti: quando ha il possesso del pallone, non riesce a salire in blocco, quando difende è sempre troppo schiacciata nella propria area, con una distanza fra l’unico attaccante e il resto della squadra che quasi rende impossibile la transizione offensiva una volta recuperata la palla.
I ripiegamenti nella metacampo sono ordinati, non manca l’organizzazione, ma mancano aggressività e talento. I tre difensori centrali son portati più a coprire che a cercare l’anticipo: Lopo è il migliore dei tre, Aythami (il centrale) e Colotto (centro-destra, anche se nell’ultima con l’Athletic ha scambiato la posizione con Lopo) sono invero debolucci in marcatura. Rimane nella memoria la figuraccia in casa dell’Atlético, quando Agüero umilio un’intera difesa andando a prendere palla tra le linee, indisturbato.
Poi sulle fasce i dubbi sono ancora tanti: a destra resiste Manuel Pablo, col mestiere e la corsa (anche se molta meno di quella dei tempi migliori, ovvio), a sinistra Lotina ancora non ha fatto una scelta chiara. Altro che Filipe Luis.
Partito col nazionale paraguaiano Morel, ha tentato col norvegese Rindarǿy, poi col canterano Seoane, poi con Manuel Pablo a sinistra e il modesto Laure a destra contro l’Athletic, infine di nuovo Morel nella sofferta vittoria col Córdoba in Copa del Rey questo giovedì. Morel che però si è infortunato e starà fuori tra le tre e quattro settimane. Nessuna delle alternative convince in pieno, il livello medio è piuttosto basso.
Seoane è un destro adattato, ordinato ma di nessuna profondità per quanto richiesto dalla difesa a cinque; Rindarǿy ha giocato poco e sembra quello dalle caratteristiche più offensive, anche se poco tecnico; Morel in realtà è un buon difensore, però non gli si può chiedere di fare il terzino-ala (nel Paraguay lo faceva in una difesa a 4 peraltro molto abbottonata). Lo vedrei bene come centrale, il ruolo che copriva egregiamente nel Boca della Libertadores 2007: tra l’altro ha proprio quel gioco d’anticipo e quella rapidità che mancano agli altri centrali.
Un peccato la situazione di Guardado, che appena tornato disponibile, contro lo Sporting è uscito dopo mezzora per una ricaduta del solito infortunio muscolare che adesso non si sa per quanto lo terrà fuori. Un peccato anche perché il messicano possedeva le carte, unico nella rosa, per surrogare le funzioni di Filipe: a suo agio nel ruolo di esterno della difesa a 5 (già ricoperto in carriera), ma con le capacità non solo per accompagnare la manovra in sovrapposizione, ma anche per portare palla dando uno sbocco ad inizio azione, uscendo dalla linearità di Rindarǿy e Morel e dalla mancanza di profondità di Seoane, Manuel Pablo e Laure. La mia difesa ideale sarebbe Manuel Pablo-Lopo-Colotto-Morel-Guardado, ma forse Lotina non vi farebbe ricorso anche col messicano disponibile.

Ancora più incerta è la composizione del centrocampo. Lotina le ha provate tutte: mediana classica a 4 o tre interni più un trequartista, a volte cambiando in corsa nella stessa partita, perché Valerón può partire falso esterno, e poi finire chiaramente al centro.
Quando si gioca con gli esterni poi, i titolari non si sanno mai: Saúl, Urreta, Pablo Álvarez, Desmarets, nessuno ha convinto e addirittura nella partita col Levante largo a sinistra è partito Adrián, cioè il principale attaccante e il bomber (si fa per dire) con 4 gol nella Liga. Anche qui non molta qualità: Urreta si lamenta per il poco spazio ma si è dimostrato un po’fumoso finora, Desmarets (fino a pochi anni fa conducente di autobus) non è inutile ma è soprattutto un giocatore muscolare, Pablo Álvarez ha un buon uno contro uno ma è abbastanza limitato nell’interpretazione del gioco (e Lotina infatti lo gioca soprattutto a partita in corso, quando magari ci sono spazi per il contropiede), Saúl patisce il salto di categoria dalla Segunda.
Il Deportivo migliore si è visto nella prima mezzora contro lo Sporting, quando ha potuto disporre di Guardado e schierare un centrocampo il più possibile di palleggiatori (contando anche il grave infortunio che purtroppo terrà fuori ancora a lungo Míchel, uno degli acquisti estivi più importanti). Con il messicano che da suo costume dialogava molto con i centrocampisti centrali Rubén Pérez e Juan Domínguez (aprendo spazi invitanti a Rindarǿy), e Valerón falso esterno destro, il Depor riuscì in quel frangente a fare ciò che non riesce a fare mai: compattarsi in fase di possesso, e non soffrire difendendo troppo vicino alla propria area.
Due i giocatori determinanti in questa proposta: Rubén Pérez, l’unico cui Lotina non rinuncia mai, e Valerón. Il primo, proveniente dalla cantera dell’Atlético Madrid, è in pianta stabile nell’Under 21, il che vista la potenziale concorrenza qualcosa significa pure. È un giocatore non spettacolare, ma che dà sostanza e geometrie davanti alla difesa. Buon senso della posizione, visione di gioco e aperture precise (anche se non è velocissimo di pensiero, sennò si chiamerebbe Xabi Alonso), è l’unico dei centrocampisti centrali capace di dare un minimo di tranquillità e continuità al Depor quando ha la palla, vista la mediocrità di Antonio Tomás e le diverse caratteristiche di Juan Rodríguez, cursore molto dinamico, anche tecnicamente accettabile, ma incapace di dettare i tempi. In una squadra di maggior livello, probabilmente Rubén Pérez brillerrebbe di più, e con più margini di crescita.

L’altro elemento determinante, Valerón, in realtà gioca pochissimo, ma resta inevitabilmente al centro dell’attenzione. A ogni passaggio smarcante geniale sfornato (come quello del secondo gol di Adrián al Córdoba) subito si maledice Lotina per i pochi minuti che gli dà, perché è chiaro che il canario vede cose che nessun altro vede in quest’organico e per questo ci si aspetta dal suo innesto un Deportivo dalla dimensione differente.
Però bisogna anche guardare la realtà in faccia: a 36 anni, con gli infortuni che lo hanno massacrato, l’autonomia di Valerón è ridottissima. Vero che quando ha il pallone lui il Deportivo si sente sicuro come non mai, ma è anche vero che il Deportivo non ha i mezzi né la “cultura” di gioco di un Barça o un Villarreal per difendersi col pallone nella metacampo avversaria, e allora casca l’asino, perché la mobilità di Valerón è prossima allo zero, e questo si nota sia quando gioca centrale e non disturba l’inizio dell’azione avversaria, sia quando da falso esterno non ce la fa a ripiegare e lascia scoperto un lato invitante per gli avversari. Infatti Lotina nelle ultime uscite sembra preferire come trequartista Lassad: meglio lì che da unica punta il francese, esasperante per come gira a largo dall’area di rigore.
Quindi, Rubén Pérez inamovibile davanti alla difesa, e in questo 5-3-1-1 ai lati suoi e del trequartista si muovono due mezzeali, il citato Juan Rodríguez e il canterano Juan Domínguez, un giocatore interessante se non altro perché due estati fa Lotina, solitamente molto sobrio nelle dichiarazioni, disse meraviglie sul suo conto. Il 21enne (compie gli anni oggi: auguri) centrocampista offensivo finora ha fatto solo intravedere qualcosa nascosto nelle pieghe di prestazioni corrette ma timide. Si nota una certa facilità di palleggio, e la propensione ad alzare la testa e scegliere la migliore opzione senza fretta, ma resta un’incognita se possa maturare al punto di raccogliere in un futuro l’eredità di Valerón, che son parole grosse.

Davanti chissà che per mancanza di concorrenti alla lunga non finisca con l’esplodere Adrián (anche lui 23 anni proprio oggi: ri-auguri). Buoni mezzi tecnici, grande velocità anche palla al piede, temibile quando scatta sul filo del fuorigioco, giocate abbastanza audaci, ma una presenza discontinua nel gioco e la capacità di perdersi in un bicchiere d’acqua e sciupare l’indicibile. Riki forse è più affidabile, ma il più dotato resta Adrián, fermo restando che i due possono giocare assieme, come fecero sul campo del Levante: Riki anche da centravanti tradisce le sue origini di punta esterna, e i suoi movimenti lasciavano lo spazio per la diagonale di Adrián, che partendo da esterno di centrocampo poteva arrivare alla conclusione portando palla senza essere costretto a muoversi spalle alla porta (situazione nella quale si trova a disagio).
Tralasciando il canterano Dioni, presenza troppo episodica finora, comunque in questa finestra invernale di mercato un bell’innesto pesante là davanti varrebbe oro. In fondo il problema più grave di quel Deportivo che ne prese sei al Bernabeu non era il giocare con la difesa a 4 invece che a 5, ma l’assenza anche solo della sensazione di pericolo negli ultimi metri. Se speri di tirare avanti con i gol dei difensori sui calci piazzati, si fa dura.

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martedì, gennaio 04, 2011

Arriva Afellay.

Domani partitone Athletic-Barça, ritorno degli ottavi di Copa del Rey. Fra i convocati blaugrana il nuovo acquisto Afellay, che potrebbe giocare i suoi primi minuti con la nuova maglia.
Intanto Alec Cordolcini, esperto di calcio olandese, curatore del blog "Radio Olanda" e della rubrica "Il Mondo siamo noi" (alla quale collaboro) all'interno del sito del Guerin Sportivo, ce ne offre gentilmente un ritratto.


Considerando Gert Bals, che Rinus Michels chiamò nella stagione 1973/74 per disputare un’amichevole con il Barcellona senza però poi ingaggiarlo, Ibrahim Afellay è l’olandese numero 21 a vestire la maglia blaugrana. In Catalogna si ricordano bene di Cruijff, Neeskens, Overmars, Frank e Ronald de Boer, Van Bronckhorst, Davids, ma purtroppo anche di Jordi Cruijff, Reiziger, Bogarde e Van Bommel (nonostante quest’ultimo sia un fior di giocatore). Il quotidiano El Periodico ha dato il benvenuto ad Afellay citando, scherzosamente, il peggior tulipano di sempre visto al Camp Nou: “Nel suo primo allenamento”, scrive il giornale catalano, “Afellay ha fatto meglio di quanto messo in mostra da Bogarde durante tutto il suo periodo nel Barcellona”. E’ iniziata così l’avventura di Ibi nella Liga spagnola: le foto di rito al Camp Nou con mamma Habiba e il fratello maggiore Ali (che di Afellay è stato come un padre, dal momento che quello vero è mancato quando Ibrahim aveva sei anni), le classiche dichiarazioni a inchiostro ancora caldo, un’atmosfera rilassata e tanti sorrisi. Da domani si comincia a fare sul serio.
Classe 86, Ibrahim Afellay è un centrocampista poliedrico capace di ricoprire diversi ruoli in diversi moduli. Ha giocato interno nel 4-3-3, trequartista centrale nel 4-2-3-1, numero 10 nel 4-5-1. Nell’ultima stagione e mezza con il Psv Eindhoven, il tecnico Fred Rutten lo ha proposto cursore centrale a fianco di un mediano nel 4-2-3-1, alle spalle di un quartetto offensivo composto dagli esterni Dszudszak e Lens, dal numero 10 Toivonen e dalla prima punta Reis (o Berg). In nazionale invece, stante il ruolo di play-maker occupato da Sneijder o Van der Vaart, il ct Van Marwijk lo schiera esterno sinistro. Proprio in questo ruolo Afellay ha realizzato, lo scorso ottobre, le sue prime due reti in maglia oranje (in 30 presenze, buona parte delle quali da subentrato), siglando una doppietta contro la Svezia nelle qualificazioni a Euro 2012. Nel 4-3-3 di Guardiola l’olandese appare come il naturale sostituto di Iniesta, ma può essere impiegato anche come vice-Xavi, oppure in fascia come vice-Villa.
Con il Psv Eindhoven Afellay ha vinto tutto: quattro titoli nazionali, una coppa e una supercoppa d’Olanda. Alla Eredivisie gli era rimasto ben poco da chiedere: talento dell’anno nel 2007, nella top tre dei giocatori dal miglior rendimento nella passata stagione, al primo posto in quella attuale, dove ha totalizzato 6 reti e 3 assist. Quando tre anni fa Wesley Sneijder lasciava l’Ajax per il Real Madrid si trovava in condizioni simili. Proprio l’attuale regista dell’Inter è stato per lungo tempo il termine di paragone di Afellay (all’epoca del suo esordio veniva considerato la risposta del vivaio del Psv a quello dell’Ajax, che aveva appunto da poco sfornato Sneijder): entrambi di Utrecht, tutti e due cresciuti in una piccola squadra locale (il DOS per Wesley, l’Elinkwijk per Ibrahim) prima di consacrarsi in una grande d’Olanda (rispettivamente Ajax e Psv), entrambi infine approdati in Spagna per il grande salto. La storia recente di Sneijder la conosciamo tutti; quella di Afellay, due anni più giovane del connazionale, è ancora da scrivere.
Afellay è costato tre milioni di euro. Una cifra tutto sommato modesta. Una cifra che il Psv non ha avuto possibilità di trattare, dal momento che rischiava seriamente di perdere il giocatore a giugno a parametro zero. Dopo il mancato trasferimento di Afellay all’Amburgo in estate (il giocatore nutriva dei dubbi sulla direzione tecnica del club anseatico), i margini di manovra erano estremamente limitati, soprattutto per un club con un debito di oltre 17 milioni di euro e privo degli introiti Champions. Un passivo risibile rispetto ai 480 milioni del Barcellona, ma stiamo parlando di due mondi diversi. Intanto i blaugrana si sono assicurati una riserva di lusso pagandola sette volte meno di Mascherano, anch’egli panchinaro. Se poi un domani Afellay si rivelerà adeguato per una maglia da titolare (e le premesse, sulla carta, ci sono), allora l’affare per il Barcellona sarà stato doppio.

ALEC CORDOLCINI

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Pausa indigesta.

La tradizione del calcio spagnolo vuole che nella prima giornata dell’anno, al ritorno dalle vacanze natalizie, il livello di gioco sia fra lo scadente e l’inguardabile. Saranno i pasti festivi ancora da smaltire, ma è una legge quasi infallibile, anche stavolta. Sonnecchiante il Barça, orribile il Madrid, modesto lo scontro diretto in chiave-Champions fra Valencia ed Espanyol.

Nulla di sorprendente per il Barça, che tende a giocare particolarmente sottotono queste prime gare dell’anno (vedi l’anno scorso l’1-1 casalingo contro un Villarreal dominante al Camp Nou, oppure nell’anno del Triplete la vittoria stentata e con aiuto arbitrale contro il Mallorca). Mancava Messi, e l’avversario, il Levante, invitava a una certa sottovalutazione. Primo tempo bloccato, fra il trivote ultraconservatore della mediana ospite (Pallardó-Xavi Torres-Gorka Larrea) e la staticità blaugrana.
Curiosa scelta di Guardiola in assenza di Piqué e Puyol: accanto ad Abidal, centrale non gioca il canterano Bartra ma Busquets, con Mascherano davanti alla difesa. Non funziona granché: Busquets mi sembra più portato a continuare l’azione che a gestire i primi passaggi (come dimostrato anche nella difesa a tre di inizio stagione), non ha nemmeno il lancio lungo per cambiare gioco, e al di là delle caratteristiche individuali, il Barça non approfitta della superiorità a inizio azione dei suoi due difensori rispetto all’unico attaccante del Levante, Stuani.
I difensori non portano palla attirando gli avversari, anche Mascherano si limita al passaggio semplice e non libera Iniesta e Xavi dalle attenzioni avversarie. Aggiungiamo che l’assenza di Messi toglie un ulteriore elemento (quello nettamente più decisivo, manco a dirlo) di distrazione/liberazione per Xavi e Iniesta, e si ribadisce come il gioco del Barça sia una catena nel quale ogni singolo elemento, sin dalla difesa (anzi, sin dal gioco coi piedi del portiere) deve lavorare per creare le superiorità, una successione logica di superiorità fino all’accelerazione decisiva. Se si inceppa una rotellina, le cose non funzionano più tanto bene, e capita così di vedere Villa prendere palla a centrocampo, con il trivote del Levante davanti a sé, quindi senza creare le linee di passaggio veramente importanti, DIETRO il centrocampo avversario. Non è la stessa cosa Villa falso centravanti rispetto a Messi falso centravanti, chiaro. Della prestazione di Bojan poi direttamente non parliamo, per decenza.
Comunque il Barça non corre rischi, perché la scarsissima qualità dell’avversario non consente di poter coprire con pericolosità quei chilometri verso la porta di Valdés che implica la scelta (l’unica possibile) di un baricentro così basso nella propria metacampo. Poi è inevitabile che col passare dei minuti la bilancia penda dalla parte del Barça, più sciolto nel far circolare palla nella ripresa. Sempre parlando di catene, funziona meglio quella di fascia destra, con Pedro che libera lo spazio per la sovrapposizione di Alves e Alves che, a sua volta, da riferimento più esterno, può liberare centralmente proprio Pedro o i centrocampisti (come il neo-entrato Thiago Alcantara, più funzionale di Mascherano) per la conclusione. Da qui arrivano i due gol del salvavita Pedrito, prima del gol di Stuani che se non sperare almeno consente almeno al Levante di uscire a testa alta dal Camp Nou.

Due parole sulla squadra di Luis García (sì, esiste anche un Luis García allenatore), e sono parole tutto sommato positive. Non si può dire altro di una squadra con la rosa oggettivamente, indiscutibilmente e drammaticamente più scarsa della Liga, ma che ha se non altro il pregio di sapere sempre a cosa gioca. Organizzata, concentrata nelle coperture, umile e aggressiva quando può, continuando così può davvero salvarsi. Perché sebbene complessivamente più debole, sembra avere più gol di alcune delle potenziali concorrenti, grazie alla presenza di Caicedo: l’ecuadoriano è stato un’assenza pesante al Camp Nou, perché aveva il passo giusto per fare male negli spazi. Centravantone di sostanza, fisicamente poderoso, in grado di fare reparto e allungare la propria squadra: è un solo giocatore, ma è un arsenale più convincente di quello di Zaragoza (Sinama Pongolle-Braulio-Marco Pérez: hombre, dillo che ami il rischio!), Almería (Uche è una seconda punta, Ulloa non è ancora una certezza, Goitom la porta non la vede proprio), Racing (non si trova un bomber affidabile fra Rosenberg, Bolado e l’oggetto misterioso Nahuelpan) e forse anche Osasuna (se non rende Pandiani, sono cavoli amari fra attaccanti di movimento come Aranda, Camuñas, Masoud e mediani avanzati sulla trequarti come Soriano).

Del Real Madrid di ieri possiamo dire che, eccetto il Clásico e le primissime partite (di rodaggio, non fanno testo), è stato il peggiore visto con Mourinho. Cinque gol, gara divertente col Getafe, ma gara di basso livello, infarcita di errori sul filo di un calcio molto approssimativo. Due squadre che il meglio di sé lo danno in fase di possesso, perché quando la palla va nella loro metacampo e devono difendere schierate, sono un mezzo disastro. Il Getafe un disastro completo perché non ha nemmeno la transizione difensiva, non ha un briciolo di aggressività quando perde palla; per il Madrid invece solito discorso: la struttura regge solo quando i suoi attacchi vertiginosi disordinano il sistema difensivo avversario permettendo ai centrocampisti e difensori merengues di recuperare sulla respinta e iniziare subito una nuova azione offensiva. Quando però non c’è questa prima barriera, e l’avversario sale in blocco fraseggiando nella metacampo madridista, apriti cielo. Le conseguenze ultime dipendono dalla qualità dell’avversario (si può andare dalla mezza sofferenza di ieri, al 5-1 casalingo bugiardo con l’Athletic, per finire con l’altro estremo, il più negativo, l’imbarcata del Camp Nou), ma il problema c’è ed è sempre quello.
Il fatto è che dopo le due fiammate dei primi 20 minuti (il rigore di Cristiano Ronaldo e l’elegante raddoppio di Özil), il Real Madrid ha attaccato malissimo, senza alcun criterio. Non si è visto nulla di tutto quello esposto sopra: niente attacchi continuati, nessun ordine, nessun sistema difensivo avversario “sotto stress”, molte verticalizzazioni approssimative, molte palle perse dove non si devono perdere e con la squadra lunga, troppi andirivieni da una metacampo all’altra.
Ciò ha permesso di uscire allo scoperto al Getafe, che seppure senza troppo mordente, è una squadra che il pallone lo sa muovere. Gli azulones hanno trovato una buona striscia di gioco e risultati da quando Míchel ha cambiato l’assetto passando alle due punte: prima era un 4-2-3-1 con Parejo trequartista, un po’ ridondante a centrocampo dove (stanti gli acciacchi di Casquero) Boateng veniva accompagnato da acquisti sbagliati come Víctor Sánchez e Borja, poveri qualitativamente o incapaci di creare linee di passaggio più avanti. Centrocampo troppo piatto, scarsa presenza davanti e poca pressione sulle difese avversarie.
Míchel perciò ha eliminato un “pivote”, lasciando il solo Boateng davanti alla difesa e liberando Parejo vicino a lui. Davanti, Miku (accantonato Colunga: lui non si è adattato al Getafe e il Getafe non si è adattato alle sue caratteristiche, radicalmente diverse da quelle di Soldado) e Manu del Moral fanno molto movimento, anche verso le fasce, dando più agilità e sbocchi alla manovra. Parejo, destinato a quanto pare a rientrare alla base madridista la prossima stagione (nutro forti dubbi sulla bontà dell’operazione), si inventa un golazo che fa rientrare in partita i suoi: nel secondo tempo entra il trequartista Albín per Manu del Moral, alla ricerca di un possesso-palla più elaborato a partire dalla connessione con Parejo. Ma il Getafe come sempre è una squadra un po’ spuntata, e in generale molle, che contro le grandi denuncia sempre le sue brave ingenuità. Che il Real Madrid viva degli errori dell’avversario nei disimpegni e di qualche contropiede dice tutto della “volgare” partita merengue, ma suggerisce anche che il risultato finale non è mai stato realmente in discussione: tragicomico l’1-3 regalato a Cristiano Ronaldo.
Un paio di note di interesse nell’ultimo quarto d’ora: l’espulsione (esagerata) di Arbeloa (terzino destro, con Sergio Ramos centrale d’emergenza assieme ad Albiol) e soprattutto il ritorno dall’infortunio di Kaká, che entra al posto di Benzema (deludente…) aprendo il dibattito per il futuro: considerando che Higuaín si dovrà operare (una perdita che rischia di mandare a monte buona parte dei piani di Mourinho), dove piazziamo il brasiliano?

Riprendiamo il discorso da dove lo avevamo lasciato, e cioè dalla scorsa stagione: sicuramente un Kaká insufficiente dal punto di vista individuale, ma non del tutto dannoso per il collettivo, anzi. Anche quando non è ispirato, non ha lo spunto, si muove comunque bene senza palla, gioca intelligentemente a uno-due tocchi, non ingombra e può entrare benissimo nel sistema di gioco di Mourinho, che si fonda proprio sulla mobilità delle tre mezzepunte. Se a tutto questo poi aggiunge le prodezze individuali, tanto di guadagnato, di certo non toglie nulla. Potrebbe incidere di più sulla manovra di un Özil che per quanto talentuoso e spettacolare si limita un po’ troppo alla fase di accelerazione e finalizzazione. Il tedesco è il meno irrinunciabile dei tre trequartisti, sicuramente.
Ma il vero punto interrogativo è l’attacco: il miglior Madrid di questa stagioone vedeva un Higuaín reintegrato nel gioco di squadra con movimenti utili, diversi da quelli di Benzema, che tende a venire incontro alla palla. L’idea sarebbe Ronaldo unica punta, come nello United campione d’Europa, ma quello United giocava spesso in contropiede mentre questo Madrid è basato su premesse diverse, e Ronaldo unica punta in questo contesto viene molto a cercare palla. Questa soluzione si è vista nella vittoria casalinga contro il Valencia, un 4-5-1 (con Khedira-Xabi Alonso-Lass in mezzo) che mancò onestamente di profondità. Va poi aggiunto che Ronaldo esterno sinistro è uno dei cardini della manovra madridista: pure le statistiche rilevano come il portoghese venga cercato da Marcelo (il primo regista della squadra) anche più frequentemente di Xabi Alonso: il basco spesso interviene dopo, a comporre quel triangolo che rappresenta il vero motore offensivo madridista. Puntare stabilmente su Ronaldo unica punta significa ridiscutere queste basi: nulla di impossibile, perché la ricchezza della rosa permette tante cose, però nemmeno una barzelletta.

Se le squadre rientrando dalle vacanze non sono mai al massimo, gli arbitri spagnoli mantengono sempre la loro prodigiosa forma, il loro estro visionario. In questo caso González González a Valencia è l’unico a non vedere il fuorigioco con cui Mata segna allo scadere il gol che vale tre punti pesanti nella corsa al quarto posto. Generalmente qui non si parla degli arbitri, ma questa era l’ultima azione della partita, vedete un po’…
Comunque, senza voler togliere nulla all’arbitro, nella stessa azione è evidente anche l’ingenuità dell’Espanyol che si beve il calcio d’angolo battuto in due tempi, prevedibile e neutralizzabile ancora di più se hai l’uomo in più (espulsione di Aduriz: anche questa esagerata). Fotografia dei limiti dell’Espanyol, se vogliamo una squadra simpatia per l’appassionato neutrale, perché costruita con due lire e coi giovani, la maggior parte della cantera, oltre che sempre propositiva nel gioco. Però non se l’è giocata al meglio: il Valencia continua a non convincere, a vivere più di episodi slegati, però morde; l’Espanyol ha una manovra più strutturata, qualità con Verdú e Javi Márquez e tanto movimento con Luis García, Callejón e Osvaldo, però al di là delle buone intenzioni la sua risposta alla superiorità numerica non ha convinto. Ci stava l’ingresso di Datolo (per Javi Márquez, Verdú arretrato nel doble pivote), perché col Valencia costretto a difendere più basso dall’espulsione poteva servire un solista come l’argentino, se vogliamo “sgrammaticato” ma pungente nell’uno contro uno, ma non c’è stata sufficiente cattiveria né peso davanti.
Qui ha inciso l’uscita prematura per infortunio di un giocatore-chiave come Osvaldo, che non ha sostituti credibili: il 18enne canterano Álvaro Vázquez ha fatto intravedere numeri (gol da grande attaccante quello decisivo all’Osasuna), però non gli si può chiedere ancora una presenza nella partita tale da andare oltre il semplice spunto, come a tutti quelli della sua età (la regola non vale solo per Muniain, ma quello non sembra uno normale…). A proposito di inesperienza, terribile poi la serata della coppia di difensori centrali composta, in assenza del “crack” Víctor Ruiz, da Jordi Amat (18 anni pure lui) e Forlín. Cresceranno, loro e tutto l’Espanyol.

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