giovedì, aprile 21, 2011

O Rei.

mercoledì, aprile 20, 2011

Il Clásico che non finisce mai (seconda parte).

Presento uno per uno i giocatori eleggibili per queste sfide, cercando di inquadrare le loro caratteristiche nel possibile contesto delle partite.

BARCELONA

Valdés: Non è il portiere più bravo coi piedi della Liga (per quello andate a vedervi Ustari del Getafe), però la sua interpretazione del ruolo è quasi rivoluzionaria. Un uomo in più nel possesso-palla, a tutti gli effetti, non solo come appoggio per il retropassaggio, ma anche per la capacità di superare una linea avversaria con un rinvio e lasciare campo libero a Iniesta o Messi, direttamente. In più, fra i pali, è storicamente sottovalutata la sua capacità di risultare decisivo in quella singola occasione che capita in 90 minuti (fenomenale uno contro uno).

Pinto: Come da tradizione, potrebbe essere lui il titolare di Copa del Rey, anche in finale. Evidentemente il Barça perderebbe parecchio, perché l’andaluso è agile e persino spettacolare fra i pali, ma in fase di possesso è un uomo in meno, non funziona come libero aggiunto e anche nelle uscite in area piccola trasmette poca sicurezza, cosa che il Madrid potrebbe sfruttare sui calci piazzati.

Dani Alves: Grande stagione, ha portato fino in fondo la sua metamorfosi dai tempi del Sevilla. Lì avviava tutte le azioni, qui non partecipa mai alle fasi iniziali della manovra, ma si sovrappone dopo, ed è un imprescindibile fattore-sorpresa. È molto raro vedere un terzino che taglia verso il centro dell’area avversaria per andare a concludere come un vero e proprio attaccante. Ad Alves riesce spesso, e questo la dice lunga su quanto sia peculiare il gioco del Barça. Tuttavia, in questa serie di scontri diretti, potrebbe capitare di vedere un Alves un po’ più prudente, non così alto ad inizio azione. Pedro o chi per lui resta largo per generare spazio a Messi e Xavi sul centro-destra, e il brasiliano si sovrappone solo quando le circostanze dell’azione assicurano che Di María o Cristiano Ronaldo non possano trovare campo alle proprie spalle.

Piqué: Non una stagione straordinaria la sua, a dirla tutta. Però resta il giocatore più importante del reparto arretrato, forse il miglior difensore centrale in Europa. Per il senso della posizione, la personalità, la prestanza, la qualità nell’iniziare l’azione, superando la prima linea avversaria portando palla, dando un passaggio verticale o un cambio di gioco che apre spazi ai centrocampisti.

Puyol: In forte dubbio per la finale di domani, la sua condizione sarà un fattore importantissimo nell’arco di queste sfide. L’iniezione di sicurezza e reattività in transizione difensiva che è capace di fornire può scongiurare i rischi che invece comporterebbe la presenza di un centrocampista adattato come Busquets o Mascherano. Va poi aggiunto che queste partite lo hanno sempre esaltato, moltiplicandone il rendimento.

Adriano: Elemento utile per la polivalenza (fascia sinistra o destra in difesa ma all’occorrenza anche a centrocampo e nel tridente) in generale, e in particolare ora come sostituto di Abidal. Più profondità e corsa rispetto a Maxwell, buon gioco ambidestro, anche se non sempre le scelte che effettua col pallone sono le migliori. Qualche sbavatura in fase difensiva, vuoi per carenze tattiche, vuoi per cali di concentrazione, se la concede sempre.

Maxwell: Col pallone, ha più criterio di Adriano. Anche tatticamente è superiore. Ha però meno facilità ad arrivare sul fondo, e non ha il passo del suo connazionale/concorrente. Soffre tremendamente l’uno contro uno con avversari veloci quando si trova a difendere vicino alla sua area (vedi Walcott, la sua bestia nera storica). Non sembra quindi il caso di rischiarlo contro un Cristiano Ronaldo o un Di María.

Gabriel Milito: Dal lunghissimo infortunio non è mai tornato ai suoi livelli, e anche per questo Guardiola preferisce utilizzare fuori ruolo Busquets o Mascherano prima di lui. Quando chiamato in causa, non è sembrato credibile come alternativa (particolarmente disastrosa la prova sul campo del Betis). A corto di ritmo, lento di riflessi, deconcentrato in marcatura, difficile contare su di lui nella fase decisiva della stagione.

Busquets: Da vertice basso del centrocampo, è quello più indicato per la fase di possesso. Con i movimenti senza palla e il gioco a uno-due tocchi lascia spazio e al tempo stesso fornisce una buona sponda a Xavi e Iniesta, che sono quelli incaricati di e dare ritmo e direzione al gioco. A Busi spetta dare continuità, e in questo contesto gli riesce benone. A palla persa,è molto aggressivo: ha un buon intuito per il primo pressing, ma non sempre sceglie bene il tempo, e così può sguarnire la propria zona. Quando poi l’azione si sposta nella metacampo del Barça, la sua copertura davanti alla difesa lascia a desiderare. Soffre gli spostamenti laterali.

Mascherano: L’antitesi di Busquets. Quello che manca nelle letture difensive a Busquets, abbonda nell’argentino, che a volte è come se giocasse con un radar. In fase di possesso però è molto più rigido di Busquets: tende a restare sempre bloccato dietro la linea della palla, a mantenere la posizione e a giocare palloni troppo semplici, che non favoriscono alcuna situazione di superiorità. Questo non perché non abbia i piedi per eseguire un cambio di gioco di 30 metri o chiudere un triangolo con precisione, ma semplicemente perché “sente” meno questo tipo di calcio. Comunque, rendimento molto in crescita nella seconda parte della stagione. Può essere una carta importante.

Xavi: Il termometro. Se gioca bene, vuol dire che il Barça sta giocando bene. L’obiettivo degli avversari è sempre quello di limitarlo, per via diretta (pressandolo o marcandolo a uomo come fece-sbagliando-Hugo Sánchez quando allenava l’Almería) o per via indiretta, costringendolo ad abbassarsi molto per prendere palla. Ha sempre bisogno del movimento dei compagni, ma una volta che gli viene garantito questo appoggio controlla i tempi come nessuno.

Iniesta: Se Xavi controlla, il suo valore aggiunto è la capacità di dare accelerazioni incontenibili dal centrocampo. Può prendere palla e saltare da solo la mediana avversaria. Intelligentissimo non solo nel cercarsi lo spazio per ricevere palla e partire fronte alla porta, defilandosi leggermente in una zona in cui l’avversario ha pochi punti di riferimento, ma anche nel crearne ai compagni, coordinando i suoi movimenti con quelli di Messi e Villa. Potrebbe essere schierato come attaccante esterno, ma il Barça perderebbe la sua capacità di verticalizzare dal centrocampo.

Keita: Prima opzione come mezzala sinistra in caso di avanzamento di Iniesta. Anche lui fra i giocatori tatticamente più intelligenti della rosa, per come offre l'appoggio al portatore e come libera l’ala sinistra per l’uno contro uno attaccando lo spazio fra centrale e terzino destro avversario (un movimento che dovrebbe avere il copyright), però eccessivamente lineare col pallone fra i piedi, sebbene preciso. Contro la difesa prevedibilmente folta del Madrid, serve di più. Per contro, un suo impiego garantirebbe un uomo in più in transizione difensiva: Iniesta attaccante mantiene comunque un comportamento da centrocampista, una maggior tendenza a venir incontro al portatore rispetto agli scatti in profondità di Villa, quindi una maggior propensione a rimanere dietro la linea della palla quando viene persa.

Thiago Alcantara: Difficile possa trovare minuti, comunque va considerato il suo recente impiego fra i titolari. È il giocatore che negli auspici più lusinghieri dovrebbe unire il controllo di Xavi e la genialità nell’ultimo passaggio di Ronaldinho, ma è ancora acerbo (mentalmente più che sul piano tecnico) per certe sfide.

Pedro: Appena tornato da un infortunio, un’incognita il suo possibile rendimento. Sarebbe importantissimo averlo al meglio, è un giocatore cui ormai è difficile rinunciare. Da aletta funzionale ma un po’ scolastica (anche se con il pregio del gioco ambidestro e della rapidità nel breve), quale era ai suoi esordi in prima, è progressivamente evoluto, fino a diventare un attaccante capace di influire su una partita in più modi e in più zone del campo. Largo all’ala, ma anche tagliando fra i due centrali avversari, e addirittura appoggiando fra le linee come un trequartista (vedi la semifinale con la Germania al mondiale). Il Barça ha bisogno della sua profondità, anche per dare respiro ai centrocampisti.

Messi: Se questo Barça ha più soluzioni ed è una squadra complessivamente migliore di quella del Triplete (al di là del conto finale dei trofei), lui è la causa principale. La sua evoluzione come giocatore e il suo cambio di posizione. Da attaccante di fascia destra a falso centravanti, il meccanismo diabolico con cui i blaugrana al tempo stesso generano incertezza nella difesa avversaria e superiorità a centrocampo. Se il Barça del Triplete creava quasi tutto col triangolo di destra Alves-Xavi-Messi, e l’altro lato serviva solo per concludere o per le accelerazioni di Iniesta, ora la posizione accentrata di Messi propizia un’infinità di possibili combinazioni, da tutti i lati e soprattutto molto meno leggibili per l’avversario. Il Messi che si smarca fra le linee, attira gli avversari su di sé e poi la scarica sui compagni liberi è ancora più pericoloso del Messi che prende palla e ne dribbla due o tre.

Villa: Abbiamo parlato delle lacune tattiche, ma suo malgrado Villa è un giocatore indispensabile, condannato a restare titolare anche sforzandosi di giocare male. Se il Barça quest’anno segna così tanti gol e trasmette la sensazione di poterne fare in qualsiasi momento è anche per la sensazione di profondità che il Guaje è tornato a trasmettere dopo la parentesi Ibrahimovic. Profondità e gol. Può giocare centrale (senza problemi, perché il contesto del Barça è diverso da quello della nazionale spagnola, dove i troppi centrocampisti arretrati lo costringevano a tenere palla spalle alla porta per fare da boa, lavoro che non rientra nelle sue corde e che certo non deve svolgere al Barça, dove ha sempre tanti giocatori vicino per triangolare) o sulle fasce… meglio sicuramente a sinistra dove può rientrare per il tiro. A destra ha dimostrato di trovarsi scomodo: se a sinistra non sempre si muove correttamente per assicurare il riferimento largo, a destra non ci prova nemmeno. Un discorso importante contro il Real Madrid, perché da quella parte agisce Marcelo, e senza un giocatore in quella zona che lo tenga impegnato il brasiliano rischia di avere troppo campo in transizione offensiva. Quindi, se a destra non giocasse Pedro, meglio mettere Afellay che Villa.

Afellay: Qualcosa di diverso rispetto a Villa ma anche a Pedro. L’olandese finora non ha giocato mai particolarmente male, ma non è neanche andato oltre il 6/6,5. Meno presente nel gioco interno sulla trequarti, ma potente, abile nell’uno contro uno e con un cambio di passo che partendo largo può tenere impegnato sia Marcelo che Arbeloa/Sergio Ramos, a seconda della fascia dove potrebbe giocare l’olandese, probabilmente a partita in corso.

REAL MADRID

Casillas: Non eroico come gli altri anni, perché in questo subisce meno tiri, e per sua fortuna è costretto a meno miracoli e meno occhiatacce nei confronti dei difensori. Poco da dire, non è tecnicamente perfetto, con i piedi è molto inferiore a Valdés, ma in Spagna è sempre lui IL portiere.

Sergio Ramos: Fisicamente portentoso, tecnicamente abile, capace di coprire tutta la fascia da solo e spingere per 90 minuti (anche se a volte porta troppo palla invece che arrivare a sorpresa), nonostante Mourinho lo tenga un pochino più bloccato rispetto agli altri anni. Sulla carta non gli manca nulla, il problema è che esistono due Sergio Ramos: quello concentrato non fa passare un pallone, quello svampito (vedi anche la gara d’andata) invece accentua certe sue lacune, come la tendenza a seguire il pallone e abbandonare la propria zona. Da centrale soprattutto, se verrà impiegato così, deve limitare al massimo tali sbavature. Il movimento di Messi, da falso centravanti, potrebbe risultare difficile da interpretare per lui.

Arbeloa: Giocatore talvolta ingiustamente denigrato, è invece un buon dodicesimo sulle due fasce. Probabilmente a destra nella finale di Copa del Rey, con Ramos al centro per la squalifica di Albiol, Arbeloa garantisce disciplina tattica e concentrazione. Può fare sicuramente comodo in un contesto nel quale molto raramente gli verrà chiesto di avanzare a sostegno dell’attacco.

Pepe: Col tempo, lo confesso, ho imparato ad apprezzare sempre meno questo giocatore. Straordinario dal punto di vista atletico, dotato anche tecnicamente, ma poco intelligente nel leggere le situazioni, nello scegliere il tempo, la posizione e la misura dei suoi interventi. È inoltre soggetto a veri e propri momenti di follia che lo portano a interventi scomposti. Resta comunque il fatto che in campo aperto è inaffrontabile, e la presenza intimidatoria ne fa bene o male uno dei migliori difensori della Liga. È stato provato a centrocampo prima nella nazionale portoghese, poi ora anche da Mourinho: contro l’Athletic per aiutare i difensori su Llorente, poi contro il Barça per allontanare dalla trequarti i palleggiatori blaugrana.

Carvalho: Di gran lunga il migliore dei centrali madridisti in questa stagione. Il portoghese non è più giovanissimo ma conserva tutto il suo talento. Eccellenti letture difensive, grande tempismo nell’anticipo e pulizia negli interventi, ottimo senso della posizione. Una sicurezza.

Albiol: L’anno scorso, con Pellegrini, fu uno dei più regolari, quest’anno è scaduto parecchio, nelle gerarchie di Mourinho come nel rendimento. Ha evidenziato una certa mancanza di talento. È un buon difensore centrale, dal gioco un po’ lineare, risponde bene cioè a situazioni più semplici da leggere, ma non ha nè la capacità di anticiparle né la tecnica negli interventi di un Carvalho. È rapido ma non ha nemmeno la fisicità di Pepe per correggere in extremis eventuali scelte errate. Volendo infierire (si fa per dire, parliamo comunque di uno valido), non ha nemmeno il piede di Garay. Molto confuso e goffo nel rigore su Villa sabato, forse la squalifica lo toglie da qualche imbarazzo.

Marcelo: Uno dei giocatori chiave quando il Madrid attacca a difesa schierata e fa la partita (il 90% dei casi), ma bisogna vedere come si adatta al contesto radicalmente diverso delle sfide col Barça. È migliorato col tempo difensivamente (già da prima di Mourinho), ma una partita tutta nella sua metacampo non è certo quella desiderata dal brasiliano. La sua abilità/incoscienza/genialità nel dribblare secco l’avversario (o gli avversari…non si fa grossi problemi) che lo vanno a pressare nella sua metacampo, in linea teorica può fare malissimo a un Barça tremendamente aggressivo nel primo pressing (quasi uomo contro uomo), ma che lascia i suoi spazi non appena l’avversario supera questo ostacolo iniziale. Però le caratteristiche di Marcelo richiedono un tipo di partita diverso da quello di sabato: il brasiliano è un centrocampista mascherato da terzino, ha bisogno di trovarsi al centro del gioco, non è un laterale che si sovrappone in un paio di contropiedi, butta dentro due cross come può e stop. Riprendendo il discorso del primo articolo, il Madrid deve prolungare un minimo le sue fasi di possesso per poterlo coinvolgere, cosa che difficilmente può fare riproponendo un centrocampo con Pepe, Xabi Alonso sacrificato e senza Özil.

Garay: Poco considerato anche da Mourinho. Teoricamente fra i centrali è quello più abile nell’impostare, e ha un buon senso della posizione, ma forse lascia un po’freddi quella sua lentezza che stride rispetto alle caratteristiche di Ramos e Pepe.

Xabi Alonso: Risaputa la sua importanza cruciale per la manovra (non sempre toccano a lui i primissimi passaggi, capita che si passi da Marcelo a Ronaldo e poi a lui), senza la quale il Madrid ultraveloce si snatura fino a diventare sonnolento, mi piace sottolineare la sua qualità in fase difensiva, sottovalutata o del tutto ignorata da chi esalta solo fantomatici rubapalloni o “pressatori”. Il basco ha un notevole senso della posizione e un ottimo intuito che gli permette di intercettare palloni senza sporcarsi troppo la maglietta. In questi scontri diretti non bisognerà però sacrificarlo troppo in compiti di puro contenimento, come avvenuto sabato. È importante averlo sempre pronto per rilanciare il gioco.

Khedira: Giocatore molto poco appariscente, certo non formidabile, ma di discreta sostanza. Dinamico, resistente, tatticamente preciso e versatile. Come partner di Xabi Alonso, meglio di Lass. Non che si stacchi particolarmente dal doble pivote (che anzi deve restare compatto per il momento in cui si perde palla), ma libera più spazio a Xabi Alonso per impostare. Nel caso Mourinho continuasse col 4-1-4-1 anche nelle prossime partite, il suo ruolo potrebbe cambiare leggermente, dandogli maggiori opportunità di mostrare le sue doti di incursore (buon tempismo nell’inserimento e nello stacco aereo), date la presenza di un centrocampista di copertura in più e l’esigenza di accompagnare l’unica punta in assenza di trequartista. Ricordiamo che già nella Germania dei mondiali Khedira in realtà non agiva da centrocampista difensivo: in fase di possesso non giocava sulla stessa linea di Schweinsteiger, e anzi si muoveva davanti al regista del Bayern, sempre pronto ad attaccare l’area avversaria.

Lassana Diarra: Lui invece è più appariscente, ma non sempre in maniera utile. È una roccia, impressionante nei contrasti, molto più capace di Khedira di risolvere una situazione di pericolo correndo all’impazzata e sradicando il pallone; non è neanche male tecnicamente, anzi, sa difendere la sfera, divincolarsi nello stretto ed effettuare lanci precisi. Però le scelte che compie, sia con il pallone che senza, possono appesantire il gioco. Incredibile una partita l’anno scorso, se non ricordo male contro l’Almería, nella quale arrivò quasi a marcare a uomo il suo compagno Xabi Alonso da quanto gli pestava i piedi. Costringendo Pellegrini al cambio alla fine del primo tempo, e in generale ad accantonarlo un po’nella parte finale di stagione. Comunque un centrocampista utile a suo modo, e in questa serie di scontri tornerà sicuramente utile. Infortunato per la Copa del Rey.

Di María: Pallino personale, l’argentino ha il raro pregio di essere un esterno puro che alla profondità dell’ala accompagna la capacità di influire sul gioco anche in zone più interne. Impressionanti le sue iniziative palla al piede, come cambia direzione ancheggiando in quel modo curioso che sembra debba fargli perdere tutti i pezzi da un momento all’altro. La grande rapidità gli permette di fintare e dribblare su entrambi i lati pur essendo un mancino che la maggior parte delle volte gioca a destra. In più la capacità di sacrificio: dei centrocampisti esterni è sicuramente quello più presente nei ripiegamenti, ed è capace anche di adattarsi a una posizione un po’ più bloccata e accentrata in un rombo (vedi la trasferta di Malaga). Contro il Barça, andrà verificata la sua posizione: la capacità di ripiegare lo candida in chiave anti-Alves, ma senza esagerare: uno dei fattori del 5-0 rovinoso fu proprio la posizione troppo arretrata di Di María, che finì per fare il quinto difensore regalando così più spazio sulla trequarti ai centrocampisti culè. Quindi aiutare su Alves va bene, ma senza fare il secondo terzino: l'avversario deve prima di tutto sentirsi minacciato alle sue spalle.

Özil: Il tedesco ha guadagnato peso nella seconda metà della stagione. Brillante ma più limitato alla finalizzazione nei primi mesi, ora è il maggior punto di riferimento sulla trequarti (favolosa ad esempio al partita di Santander), il giocatore che non solo dà le accelerazioni ma può permettere più combinazioni nella metacampo avversaria. Il giocatore che può costringere di più il Barça a correre verso la propria porta. Splendido controllo in velocità, va dritto come una lama senza perdersi in fronzoli. È atteso però a un riscatto dopo la prestazione di inesistente personalità del Clásico di andata.

Granero: Molto atteso la scorsa stagione con Pellegrini, ha deluso, e a parte qualche timido segnale non è riuscito a sfruttare in fondo neanche le sporadiche chances di Mourinho. Peccato perché il giocatore ci sarebbe tutto, e sulla carta offrirebbe parecchie soluzioni, potendo giocare sulla trequarti, da falso esterno, oppure mezzala più vicino a Xabi Alonso. Ha doti sia per aiutare nell’impostazione che per rifinire vicino all’area avversaria, intelligenza, spirito di sacrificio e buona resistenza nei 90 minuti. Ma la personalità deve ancora uscire fuori.

Kaká: Una grossa incognita. Dopo una prima stagione sottotono, è tornato solo a gennaio dal lungo infortunio. Non si è ancora capito come Mourinho lo inquadra nelle proprie gerarchie e quale il rendimento potrebbe offrire: finora ha alternato spezzoni convincenti ad altri poco significativi. Continuando il discorso fatto per Özil, anche Kaká è un giocatore che può favorire molte combinazioni sulla trequarti e prolungare il possesso-palla. Anche se ha perso la velocità nel ribaltare l’azione e non è mai stato un fenomeno nello spazio stretto, è un giocatore comunque molto bravo a trovarsi lo spazio sulla trequarti, creando situazioni di superiorità numerica coi suoi movimenti. Non dovrebbe però avere molte chances per questa serie, dove è richiesto un ritmo e anche un sacrificio atletico che probabilmente ad oggi Kaká non può garantire.

Gago: Snobbato da Mourinho (e infortunato per la Copa del Rey), è uno dei casi che simboleggiano una tendenza recente: il talento sudamericano che arriva in Europa troppo giovane e tenta di “europeizzare” drasticamente il proprio stile di gioco senza avere ancora consolidato sufficientemente la sua anima sudamericana. Oltre a Gago penso ad Anderson del Manchester United, e pure a Higuaín, anche se in questo caso si tratta di una conversione di successo. Il Gago del Boca non si è mai visto, non solo quanto a prestazioni, ma proprio come stile. Tuttavia l’argentino mantiene alcuni buoni “tic” da centrocampista sudamericano: l’andarsi a cercare sempre un nuovo spazio libero dopo aver passato il pallone, l’offrirsi per ricevere palla dai difensori…col pallone tra i piedi però denuncia una frenesia eccessiva e frequenti imprecisioni. In transizione difensiva poi la tendenza a inseguire il pallone più che intercettare le linee di passaggio lo rende un pericolo per i suoi compagni. Decisamente improbabile che entri in ballo per questo finale di stagione.

Pedro León: Ottimo giocatore che senza averne colpa, è diventato una macchietta. Dalla famosa conferenza stampa di Mourinho che rispondeva in maniera sarcastica (“non è mica Zidane…”) a chi gli chiedeva spiegazioni per la mancata convocazione di Pedro León è scaturita poi la parodia dei Marcatoons nei quali qualunque cosa succeda la colpa è sempre del nostro, che per questo viene messo in punizione (“Pedro León! Expedientado!”). Mourinho non lo vede proprio, e naturalmente non lo ha nemmeno convocato per la finale di coppa, ma va anche detto che gli spazi già in estate sulla carta erano davvero ridotti per l’ex Getafe.

Canales: Stagione sprecata per il talento sulla bocca di tutti un anno fa. Mai considerato da Mourinho (titolare solo alla prima a Maiorca), ma nemmeno dato in prestito a gennaio. Mah.

Cristiano Ronaldo: Lui resta l’arma principale. Il giocatore più verticale per la squadra più verticale. Deve però togliersi dalla testa l’ossessione di voler vincere da solo queste sfide e pensare alle cose che contano davvero invece che ai confronti giornalistici su chi è il miglior giocatore del mondo.

Benzema: è un attaccante, ma è il giocatore con più pausa di tutta la rosa madridista. Il giocatore più “da Barça” di cui dispone Mourinho. Il francese adora uscire dall’area di rigore e dialogare coi centrocampisti: nelle serate giuste, è una delle punte più difficili da marcare, perché lascia sempre il dubbio negli avversari se uscire o meno dalla linea difensiva. Se rispetto alla partita di sabato Mourinho desidera poter contare su qualche fase di gioco un po’ più elaborata, lui è imprescindibile assieme a Özil. Attenti però all’altro Benzema, quello fannullone che ciondola per il campo come un peso morto. Capita di vederlo di tanto in tanto, e ancora deve superare completamente lo scoglio psicologico di queste grandi sfide.

Adebayor: Rispetto a Benzema, il togolese offre l’alternativa del lancio lungo per far salire la squadra o anche per cercare un po’ di mischie in area di rigore. Quasi certo il suo ingresso a partita in corso in caso di svantaggio. Sa anche muoversi su tutto il fronte, svariare e giocare palla a terra con ottima proprietà di palleggio, ma senza il senso del gioco di Benzema.

Higuaín: Un peccato l’infortunio, perché nella prima parte della stagione si stava rivelando importante non solo per i gol, ma anche per l’apporto collettivo. Era tornato un Higuaín dai movimenti funzionali al gioco di squadra, non più preoccupato solo di prendere palla e partire in quarta per cercare il gol. Per forza di cose parte dietro Benzema e Adebayor nelle gerarchie attuali.

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martedì, aprile 19, 2011

Il Clásico che non finisce mai (prima parte).

Presento la serie di scontri diretti partendo dalle caratteristiche generali delle due squadre e dalle indicazioni che la partita di sabato può aver fornito sul loro possibile atteggiamento nei prossimi scontri diretti. Fra qualche ora pubblico la seconda parte, dedicata all'analisi dei giocatori, uno per uno.


E si comincia… come direbbe Fantozzi. L’incontro di campionato di sabato è stato solo l’antipasto (per quanto ricco di spunti), senza peso in termini di classifica. Da mercoledì, a Valencia, stadio Mestalla, finale di Copa del Rey, si farà sul serio. Una scorpacciata di Clásico, che necessariamente andrà di traverso a una delle squadre.

Inizio rovinando subito la sorpresa a chi, ne sono certo, aspettava questo pezzo come la parola definitiva e incontestabile: la più forte delle due è il Fútbol Club Barcelona. Anche se Guardiola deve negare per forza di cose questo fatto, il primo a saperlo è proprio il tecnico rivale, Mourinho.

Ricordate la conferenza stampa dopo il 5-0 subito all’andata? Con un’espressione efficace, il portoghese definì il Barça un “prodotto finito”, per rimarcare la differenza con il suo di prodotto, ancora in via di sperimentazione. Ebbene, sarà ancora così, fino alla fine della stagione: questa è la prima stagione di Mourinho, e di fronte ha la squadra che personalmente mi ha più impressionato da quando seguo la Liga.

Però… però il punto è proprio questo: il Real Madrid assumerà quest’inferiorità di partenza, e cercherà di sfruttarla a proprio favore, sia dal punto di vista tecnico, cercando di adattarsi alle caratteristiche dell’avversario più che imporre una propria identità ancora non così forte, sia dal punto di vista psicologico: il Barça ha decisamente di più da perdere, una partita secca è una partita secca che va sempre oltre le scempiaggini sulla “squadra migliore della storia".

La sensazione irrazionale è che, con tante chances in così poco tempo, un Clásico prima o poi il Madrid dovrà tornare a vincerlo; razionalmente va invece aggiunto che il Barça è calato dal suo miglior periodo, fra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. Continua a vincere, ma più amministrando che asfaltando; inoltre gli infortuni, in particolare in difesa, stanno creando complicazioni che potrebbero avere il loro peso anche in questa serie di scontri diretti. Questo senza mai snobbare la straordinaria sicurezza e forza mentale della squadra di Guardiola, ovvio.

Barcelona e Real Madrid sono due squadre accomunate dalla ricerca del gioco offensivo, ma per il resto completamente diverse. Diverso lo stile, diversa la filosofia, diversi i ritmi. Diversa soprattutto la “cultura del passaggio”. Prendo in prestito quest’espressione dallo splendido Podcast che gli amici di Ecos del Balón dedicarono alla presentazione della gara d’andata. Diverso è il modo di passare il pallone, diverso sarà anche il modo di organizzarsi nelle varie fasi del gioco, che sono sempre collegate. Il modo in cui muovi il pallone fin dalle retrovie condiziona il modo in cui poi lo perdi, e il modo (e la zona) in cui lo perdi influiscono sulla transizione difensiva.

La cultura del passaggio del Barça è quella del passaggio corto, cortissimo… e verticale solo quando strettamente indispensabile. Tanti giocatori ravvicinati a formare triangoli, per assicurarsi che la squadra avanzi senza perdere palla in zone pericolose. Obiettivo, installarsi in blocco nella metacampo avversaria e garantirsi non solo possibilità offensive, ma anche conquistare una posizione di vantaggio tale da impedire qualsiasi rilancio dell’azione avversaria. Le ali (Pedro e Villa) bloccano i terzini, Alves e Adriano (o Maxwell) costringono gli esterni avversari ad abbassarsi sulla stessa linea dei loro terzini, allontanandosi così dall’attaccante. Recuperata palla, per chi affronta i blaugrana diventa difficilissimo riorganizzarsi e ripartire.

Solo in questo momento, quando ha già fissato in tal modo le posizioni nella metacampo avversaria, il Barça rischia la verticalizzazione. E il rischio è relativo, perché di passaggio corto in passaggio corto i giocatori son già tutti ben raccolti per il momento in cui si perde palla, e pronti perciò a far scattare il pressing alto. Un marchio di fabbrica di questo Barça, di grande impatto, ma un pressing che proprio per questa capacità di raggrupparsi attorno al pallone in fase di possesso, non richiede nemmeno così tanti metri di corsa a chi di volta in volta lo effettua.

La cosa che più impressiona del Barça di quest’anno non sono tanto le azioni offensive da applausi o le prodezze dei singoli, ma proprio questa sensazione di solidità che offre in transizione difensiva. Una squadra che corre pochi rischi e che mantiene sempre più giocatori dietro la linea della palla rispetto all’avversario quando la perde, pur giocando tutta all’attacco. Una squadra che nelle sue versioni migliori quasi arriva a negare la logica della “coperta corta”.

La coperta è sembrata invece più corta per il Real Madrid, che ancora deve perfezionare i propri equilibri. Compito che sembra più difficile con una cultura del passaggio più audace e rischiosa. Real Madrid significa verticalizzazione e accelerazione, sempre e comunque.

Se Xavi è l’icona della filosofia blaugrana, quel giocatore che rallentando al momento opportuno e dando quei passaggi orizzontali superficialmente considerati “inutili”permette alla sua squadra di prendere le posizioni giuste (in questo senso Xavi è un giocatore prezioso anche per gli equilibri difensivi), i talenti madri disti non hanno nelle corde la pausa.

L’emblema ovviamente è Cristiano Ronaldo, il supergiocatore che sembra creato in laboratorio, ma anche il trequartista, Özil, è quanto di più distante dalla tipologia di numero 10 alla Zidane o Riquelme, quello che viene molto incontro a chi porta palla, temporeggia e fa girare la squadra attorno a sé. Mesut è eccellente nello smarcarsi tra le linee, ma ha altri tempi e movimenti: cerca spessissimo la profondità oppure il taglio dal centro verso la fascia, sempre in maniera molto diretta e aggressiva. Di María, manco a dirlo, è un altro che va dritto come un treno verso la porta avversaria, senza pensarci su, e anche il regista, Xabi Alonso, si distingue rispetto a Xavi per una ricerca più frequente del lancio verticale immediato.

Attorno a questi giocatori e alla loro indole Mourinho ha strutturato un 4-2-3-1 molto offensivo, basato su continui incroci e scambi di posizione fra i trequartisti e la punta, e che in transizione difensiva conta sulle capacità di lettura dei due centrocampisti centrali, Xabi Alonso e Khedira, che restano più bloccati e accorciano sulle possibili respinte assieme ai due terzini.

Naturalmente la ricerca della profondità è un’ottima cosa: seppure in maniera diversa dalla ragnatela del Barça anch’essa aiuta a schiacciare dietro l’avversario, e nelle partite in cui è ispirato il Madrid riesce a incatenare una serie di attacchi che non lasciano un attimo di respiro all’avversario.

Non sempre però i giocatori del Real Madrid evitano rischi: la tendenza a preferire quasi sempre la giocata verticale, che sia la ricerca immediata del passaggio filtrante oppure la percussione palla al piede, può avere conseguenze indesiderate in transizione difensiva: perdi palla e la tua squadra è spezzata in due perché non ha fatto in tempo a prendere posizione.

Ma il problema maggiore di questa versione del Real Madrid si è dimostrato non la transizione, ma la fase difensiva vera e propria. Quando l’avversario riesce a prolungare il suo possesso palla, e costringe il Madrid a ripiegare con la difesa schierata nella sua metacampo, i merengues soffrono tantissimo. Cristiano Ronaldo non ripiega, Xabi Alonso sul centro-sinistra deve defilarsi per coprirlo, Khedira soffre, e c’è sempre uno spazio sulla trequarti in cui l’avversario può fare male.

L’evidenza di questa difficoltà ha portato Mourinho ad adottare una variante, il 4-1-4-1 con un centrocampista centrale in più accanto a Xabi e Khedira. La squadra perde imprevedibilità davanti, ma in fase difensiva ha più copertura.

Il centrocampista in più solitamente era Lass, ma nello scontro diretto di sabato, dopo l’esperimento in casa dell’Athletic, è stato confermato Pepe mediano, in mezzo fra Khedira (centro-destra) e Xabi Alonso (centro-sinistra). Questa soluzione ha riscosso abbastanza successo sulla stampa e fra i tifosi. A me convince un po’ meno.

È giusto il principio di assumere la propria inferiorità e cercare prima di tutto di limitare le possibilità blaugrana, ma forse l’opzione-Pepe a sua volta limita anche le possibilità del Real Madrid, semplificandone all’eccesso il gioco. Mi riferisco alla posizione di Xabi Alonso, “espulso” verso il lato sinistro, con meno possibilità di ricevere fronte alla porta e meno campo, anche visivo, per organizzare il gioco. Inoltre il resto del centrocampo parla chiaro: detto di Pepe, un difensore muscolare spostato a metacampo, c’era poi Khedira, un incursore, quindi Cristiano Ronaldo e Di María. Tutti giocatori diretti, verticali, poca possibilità di tenere palla un attimo in più e salire nella metacampo avversaria. O contropiede-lampo o nulla, il che è un limite.

Naturalmente ciò non vuol dire che contro il Barça si debba giocare per avere più possesso-palla (è impossibile per chiunque lasciare meno del 60-65% ai blaugrana), però il non poter prolungare all’occorrenza le tue fasi di possesso evita di costringere il Barça al ripiegamento nella propria metacampo, la situazione che soffre di più, come hanno dimostrato, seppure con risultati alterni, l’Arsenal all’Emirates, il Betis (la miglior squadra che ha affrontato il Barça in tutta la stagione) in Copa del Rey e in alcuni momenti pure lo Shakhtar Donetsk.

Quindi Pepe mediano è probabilmente una forzatura in una squadra che già fatica a proporre un socio per Xabi Alonso, ossia un giocatore che, agendo dietro la linea della palla, possa aiutare il basco a controllare un po’ i ritmi. Non per scimmiottare il Barça, ma per acquisire maggior varietà ed equilibrio. Un peccato in questo senso il flop di Granero e la mancata valorizzazione di Canales.

Mi sembra perciò doverosa, per mercoledì e per i Clásicos a venire, la presenza dall’inizio di Özil, che non è Zidane ma è comunque il giocatore che sulla trequarti può favorire più combinazioni e creare maggiori grattacapi in ripiegamento al Barça. Bisogna però vedere dove il tedesco verrà impiegato: esterno? A destra o a sinistra? Trequartista di nuovo in un 4-2-3-1? Non credo Mourinho voglia rinunciare al centrocampista difensivo in più, quindi più probabile che Özil parta esterno con licenza di tagliare centralmente, o addirittura, ipotesi estrema, da unica punta al posto di un Benzema deludente sabato.

Dall’altra parte, sabato scorso il Barça ha proposto il suo possesso-palla più conservatore: se guardiamo alle occasioni culè, uno dei pochi pericoli nel primo tempo è nato dalla pura abilità individuale di Messi, che con un dribbling e una triangolazione ha saltato il centrocampo del Real Madrid che, al momento in cui l’argentino ha preso palla, si trovava comunque schierato per intero davanti a lui. Segno che era riuscito nel suo compito di allontanare Messi dalla zona più calda della trequarti e, per questa via, a sminuire anche Xavi e Iniesta.

In più di un momento si è visto un Barça con Messi e Iniesta defilati rispettivamente a destra e a sinistra sulla stessa linea di Xavi. Troppi giocatori bassi ad inizio azione, e il Piqué che avanzava palla al piede senza trovare opzioni di passaggio più avanti, quasi marcato dai suoi stessi compagni, ha ricordato quel Piqué “asfittico” della nazionale spagnola ai mondiali. In tutta la partita, solo un paio di lanci improvvisi alle spalle della difesa madridista hanno creato la sorpresa: uno per Messi, smarcatosi sul filo del fuorigioco per un pallonetto fra le braccia di Casillas, e l’altro per Villa, quello del rigore.

Se il Real Madrid avrebbe bisogno di un pochino di controllo, il Barça dovrebbe invece cercare di dare un’impronta più aggressiva al suo possesso-palla nelle prossime partite. Soprattutto ripartire meglio gli spazi fra le fasce e il centro, tenere occupati i terzini e gli esterni madridisti con i movimenti di Alves/Pedro e Adriano/Villa, per liberare così lo spazio al quartetto Busquets-Xavi-Iniesta-Messi (falso centravanti), che sulla carta mantiene la superiorità numerica anche rispetto a un Madrid con un centrocampista in più. Quella superiorità numerica all’origine del 5-0 del Camp Nou.

Soprattutto Villa deve lavorare meglio tatticamente. Da inizio stagione ripetiamo il solito appunto. Lui è un’ala solo teoricamente, è evidente che da sinistra deve poter convergere per tirare o anche minacciare, ma il riferimento iniziale deve essere comunque la fascia. Se parte già troppo centrale, libera il terzino avversario che può raddoppiare su Iniesta, il quale si vede un po’chiusi gli spazi centrali dal movimento citato del Guaje. Per questo sabato abbiamo visto un Iniesta defilato e poco avanzato (a differenza del 5-0, dove fece sfracelli sfruttando proprio lo spazio intermedio liberato da un Villa disciplinato all’ala). Lo stesso vale per Messi, che deve essere liberato alle spalle del centrocampo avversario, e non davanti, per limitare l’effetto-imbuto tipo Spagna dei mondiali.

Venendo alle assenze, potrebbero pesare maggiormente per il Barça. Al Real Madrid mancherà soltanto Albiol per la finale di Copa del Rey, espulso nella gara di sabato (mentre dall’altra parte Alves non ha ricevuto il secondo giallo, e qui le proteste madridiste sono giustificate). Non proprio uno dei giocatori più brillanti, rimpiazzabile da Ramos centrale e Arbeloa terzino destro.

Il Barça invece ha il dubbio di Puyol, un dubbio pesante perché la rosa corta (e lo scarsa sperimentazione di Fontás) e la disgrazia di Abidal hanno costretto Guardiola ad affiancare Busquets o Mascherano a Piqué, con risultati poco soddisfacenti. L’infortunio fino a fine stagione di Bojan poi riduce quasi a zero le alternative in attacco.

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venerdì, aprile 15, 2011

Il punto sull'Atlético Madrid.

A inizio stagione uno dei principali motivi d’interesse era l’Atlético Madrid. Davvero la squadra che aveva appena regolato con sufficienza l’Inter nella Supercoppa Europea stava crescendo al punto non dico di ambire al titolo ma almeno di imporsi sugli avversari di turno con il gioco e non in base a qualche magia individuale o rito voodoo? No, non era vero. I tifosi dell’Atlético continuano a chiedersi perché sono dell’Atlético dopo un’altra stagione di ordinaria frustrazione. Punto più basso, l’eliminazione per mano dell’Aris Salonicco in Coppa Uefa.

Per tutti questi motivi, la vittoria di domenica scorsa con la Real Sociedad, sorprendente per qualità di gioco e ispirazione, nonostante l’evidente complicità dei baschi (preoccupantissima l’involuzione txuri-urdin nel girone di ritorno), deve suscitare più rammarico che altro, nonostante avvicini l’obiettivo di un piazzamento europeo per la prossima stagione.

Nonostante i fatti dicano che Quique non si è dimostrato capace di assicurare quel salto di qualità promesso, una nota positiva viene però dall’avere visto domenica l’Atlético più vicino all’ideale, almeno nei limiti delle possibilità offerte dalla rosa. Un ideale intravisto nella prima giornata contro lo Sporting, affermazione spettacolare però mai replicata.

Ha contribuito alla mancata evoluzione anche un mercato autolesionistico: in quella prima giornata contro lo Sporting, figurava Jurado, che da dodicesimo uomo stava diventando qualcosa di più, un’alternativa di gioco importante per rendere meno piatto il centrocampo. Jurado è stato venduto l’ultimo giorno di mercato, e a fronte del rammarico pesava comunque la considerazione che i 13 milioni dello Schalke facevano comunque comodo alle casse. Il fatto però che una cifra inferiore ma non tanto distante sia stata poi spesa a gennaio per il brasiliano Elias, un incursore dalle caratteristiche assai meno utili nel contesto della rosa colchonera, ha ridestato le perplessità.

A ciò si è aggiunta la gestione discutibile della partenza di Simão: il portoghese era finito, ma non è questo il punto, il problema è trovarsi di colpo senza esterni sinistri, perché fra agosto e dicembre hai venduto sia lui che Jurado. Il fatto di aver acquistato un altro specialista di fascia, e di spessore, come Juanfran, non ha risolto del tutto il problema.

Sorprendono la stampa le ripetute panchine dell’ex Osasuna, ma le caratteristiche di Juanfran spiegano abbastanza della scelta di Quique. Juanfran è un esterno puro, ma destro-destro, difficile riconvertirlo sull’altra fascia, e questo gli chiude molti spazi. Le cause si chiamano Reyes e Ujfalusi.

Il mancino Reyes si accentra, toglie punti di riferimento al sistema difensivo avversario e apre lo spazio alla sovrapposizione del ceco: fra i pochi momenti di imprevedibilità e profondità della manovra dell’Atlético, molti vengono da questo movimento. In maniera poco comprensibile, Quique aveva deciso di farne a meno con l’inizio del nuovo anno, spostando Reyes a sinistra e adattando a esterno destro un centrocampista centrale come Raúl García (!?). Risultati pessimi, Atlético ancora più bloccato del solito.

Non solo veniva tolto campo a Reyes per svariare, ma lo stesso Ujfalusi vedeva cancellato il proprio potenziale offensivo: il terzino ceco è eccellente nello scegliere il tempo per la sovrapposizione, ma solo se ha qualcuno davanti che glielo crea, il tempo e anche lo spazio giusto. Se il peso di tutta l’azione offensiva su quella fascia deve ricadere su di lui, buonanotte. Quindi, il ritorno di Reyes a destra (sfavillante contro la Real Sociedad), è indispensabile.

Uno con le caratteristiche di Juanfran, portato a cercare il fondo, sarebbe stato perfetto semmai sull’altra fascia: una volta che la difesa avversaria viene attirata verso il lato di Reyes, cambiare gioco per avere l’uno contro uno certo. Juanfran ha il cambio di passo sul breve, micidiale, la tendenza a cercare il fondo, ma a sinistra non ci gioca. Un’ala mancina porterebbe anche a riconsiderare le funzioni di Filipe Luis, ancora non chiarissime data la stagione accidentata e il rendimento sottotono del brasiliano, teorica ciliegina della campagna acquisti estiva. Non è (o non è ancora, speriamo che il gol di domenica rappresenti una svolta) il Filipe del Deportivo, non solo per le prestazioni ma per i movimenti: il brasiliano più che altro accompagna l’azione esternamente, e non è il giocatore che si incarica anche dell’inizio dell’azione.

Un Filipe più coinvolto in questa funzione potrebbe aggiungersi come possibile surrogato alle persistenti insufficienze del centrocampo. La mediana, si sa, è l’eterno limite dell’Atlético quando si tratta di attaccare difese schierate. L’Atlético in quella zona non sa andare oltre l’orizzontalità, non sa controllare i tempi e dare spessore a fasi di possesso prolungate (perché puoi anche avere predilezione per un gioco più diretto, ma l’avversario ti ci costringe comunque a cambiare registro). Tiago è il meno peggio, diciamo, quello che si offre e assume maggiori responsabilità, ma manca tantissimo comunque.

Perciò i punti di riferimento la manovra dell’Atlético deve cercarli da altre parti: Reyes, come detto, e Agüero. Straordinario il Kun domenica, e in generale, sempre più uomo-squadra. Resta una prima punta, ma la sua classe lascia sempre più il segno anche sulla trequarti. Si trova lo spazio, mette la palla in cassaforte, rifinisce. Insomma, fa giocare meglio i compagni.

Questa crescente assunzione di responsabilità di Agüero fa da contrappeso alla probabile eclissi di Forlán, ovvero colui che fino alla scorsa stagione animava la trequarti (con uno stile di gioco però assai diverso dalla “pausa” del Kun). Il rapporto fra l’uruguaiano e l’Atlético sembra compromesso, non è mistero: dalle ipotesi di mercato, a qualche panchina accolta male, poi qualche mormorio dei tifosi, fino a cose addirittura sconcertanti uscite sui giornali e che si spera vivamente non siano vere (un articolo su El Pais parlava di una congiura di spogliatoio per non passare mai la palla a “La Rubia”…).

Domenica è partito in panchina, anche per premiare Diego Costa, reduce da una tripletta sul campo dell’Osasuna. Un buon diavolo il brasiliano, tutto sommato: guardato con diffidenza per le movenze sgraziate e la litigiosità (più apparente che reale) col pallone, è considerato importante da Quique perché offre qualcosa di diverso in attacco, un giocatore un po’ più “sporco” per guadagnare palle contese, lavorare un po’ sui centrali avversari. Ma oltre che sporcare il lavoro di Diego Costa pulisce quegli spazi sulla trequarti che fanno comodo ad Agüero, Reyes e agli altri incursori.

A proposito di incursori, si è aggiudicato un posto da titolare un altro canterano, il 19enne Jorge Resurrección (apperò!) Merodio, detto Koke. La sorpresa non è tanto il nome, nel giro da tempo, quanto il ruolo. Anche nelle nazionali giovanili, Koke è sempre stato un uomo d’ordine (poco creativo) davanti alla difesa: Quique lo ha invece adattato a esterno sinistro, la posizione che ricopriva Jurado, e il ragazzo sta convincendo. Più di Elias, le cui caratteristiche apportano poco sinceramente: per quanto valido nel suo genere (anche se personalmente lo conosco poco), si tratta di un altro cursore incapace di dettare i tempi. Al centro serve pochino, quindi Quique ha provato a farlo partire dalle due fasce, per permettergli di tagliare a ridosso delle punte con gli inserimenti, uno dei pezzi forti del brasiliano. Non ha funzionato.

Koke ugualmente fa l’esterno solo teorico, e taglia nel mezzo, ma con altre caratteristiche: legge bene il momento in cui smarcarsi tra le linee e offrire l’appoggio, e poi sa dare continuità al possesso-palla. A difesa avversaria schierata, Koke è una linea di passaggio valida per chi porta palla, Elias no.

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domenica, aprile 03, 2011

Golpe!

Eh sì, questa potrebbe essere la svolta decisiva, poco da nascondersi. Meno otto punti dal Barça a otto giornate dalla fine, a due settimane dal Clásico del Bernabeu (ma in mezzo i merengues devono andare a Bilbao: mica tre punti scontati, occhio): la sconfitta casalinga di ieri con lo Sporting, clamorosa, sembra una sentenza. La fortuna del Madrid è che il calendario prospetta ancora molti possibili scontri diretti col Barça (oltre a campionato e Copa del Rey, un teorico incrocio nelle semifinali di Champions), per rifarsi su altri fronti. E qualche scontro diretto, fosse anche solo per una questione di numeri, il Madrid deve pur tornare a vincerlo.

Chiaro che per le occasioni comunque create il Real Madrid questa partita poteva non solo pareggiarla ma vincerla, ma il gioco non c’è stato, bisogna essere altrettanto chiari.

Pesantissime le assenze: Cristiano Ronaldo, Marcelo, Xabi Alonso. Manca anche un Benzema in stato di grazia, ma i primi tre sono giocatori essenziali per dare ai merengues l’identità desiderata. Senza, l’azione si fa troppo statica, la circolazione di palla troppo lenta all’inizio e quindi, successivamente, le accelerazioni son più difficili.

Marcelo è il giocatore che portando palla dalle retrovie spesso supera la prima linea avversaria; Xabi Alonso non sempre inizia l’azione, ma è comunque fondamentale per dare la direzione e il ritmo alla manovra una volta che la palla esce dalla metacampo difensiva; il movimento di Cristiano Ronaldo invece dà il via a tutti gli interscambi sulla trequarti che allungano e aprono le difese.

Mourinho supplisce alle assenze con un trivote a centrocampo, Khedira-Lass-Granero, e poi Özil a destra e Di María a sinistra, con Adebayor di punta. L’azione non decolla mai: Lass prende palla dai difensori, poi una serie di passaggi corti orizzontali che danno tutto il tempo allo Sporting di piazzarsi.

Granero delude e lascia perplessi. Delude perché ha una grande occasione ma non la sfrutta con una prestazione timidissima; lascia perplessi invece la sua posizione, che accentua l’indispensabilità di Xabi Alonso. La grande qualità del basco è la visione di gioco, esaltata quando può giocare dietro la linea della palla (magari da unico vertice davanti alla difesa), ricevere il retropassaggio dei compagni e cambiare gioco. Dei tre centrocampisti schierati sabato Granero è quello che meno si distanzia da questa visione di gioco, ma il Pirata ha giocato stabilmente oltre la linea della palla, sul centro-sinistra, lasciando la responsabilità della regia a Lass, incapace di assumerla così come i due difensori centrali Albiol e Carvalho, che a differenza degli omologhi del Barça si limitano ad avanzare pochi metri per scaricarla al compagno più vicino, senza generare superiorità.

Finisce che Di María deve venire a prendersi palla in zone molto arretrate, con risultati stavolta irritanti per la testardaggine delle sue iniziative individuali. L’azione non passa praticamente mai dalla fascia destra, e Özil è tagliato fuori. Spalle alla porta, facile preda del pressing asturiano, il tedesco resta più bloccato del solito nella posizione d’esterno: la manovra non prende ritmo e non si vedono praticamente mai quei tagli e incroci con l’esterno della fascia opposta che rappresentano la carta migliore del Madrid quando gioca bene. Non è questo il caso, evidentemente.

Due le possibili soluzioni a questo stallo: o cercare una circolazione di palla più fluida contro la difesa schierata, oppure cercare la mischia in area avversaria. Nel primo caso, si potrebbe pensare all’arretramento di Granero di cui parlavo prima, o magari anche a un inserimento di Canales in cabina di regia. Nel secondo caso, butti dentro più attaccanti. Si potrebbe anche optare per una via di mezzo fra le due opzioni, ma Mourinho sceglie decisamente la seconda: toglie Granero, lasciando i due cursori Khedira e Lass in mezzo al campo, e inserisce il rientrante Higuaín accanto ad Adebayor. Più peso. Poi inserisce sì Canales, ma lo mette sulla fascia, per ingozzare di cross gli attaccanti. E passa anche a una strana difesa a tre, con Pepe-Albiol-Carvalho e Ramos avanzato sulla destra.

Mourinho lo fa quasi sempre quando è in svantaggio: mette dentro quanti più attaccanti ha, e rivoluziona la squadra. Non ho mai apprezzato particolarmente questa sua strategia, però va detto che spesso lo ha premiato, e non è il caso di gettargli la croce addosso per una volta che non va, soprattutto quando lo Sporting improvvisa salvataggi miracolosi all’approssimarsi del fischio finale.

Lo Sporting però, coi suoi mezzi, non ha rubato nulla (e aveva anche la sua assenza pesante, Diego Castro). Rintanato nella sua metacampo, ma aggressivo una volta che l’avversario vi mette piede, ordinato e ficcante nel contropiede: Manolo Preciado ha ritrovato la “sua” squadra, dopo una fase a metà stagione di pessimo gioco, pessimi risultati e voci di esonero fortunatamente smentite. Eccellente la prova dei due centrali di centrocampo, Rivera (il buon vecchio Riverita, grande continuità e precisione nel cucire il gioco) e il canterano Nacho Cases, l’ultima scoperta, un mancino dinamico, bravo a proporsi sempre pur senza essere un funambolo. Ottima anche la prestazione di José Ángel (subentrato a Canella, infortunatosi nei primissimi minuti), importante in quelle poche situazioni in cui lo Sporting ha potuto rilanciare il gioco, vedi l’eccellente contropiede manovrato del gol: José Ángel esce palla al piede, palla a Miguel de las Cuevas, che incrocia con Nacho Cases. La difesa madridista, ancora disorganizzata dai cambi di Mourinho, si fa cogliere di sorpresa e Miguel de las Cuevas punisce con un colpo da biliardo.


Nemmeno il Barça ha brillato particolarmente, ma il contesto e l’avversario sono radicalmente diversi, e la prova di forza, l’ennesima, innegabile.

Il Villarreal non sceglie il pressing alto: lanciare gli attaccanti per aggredire fino all’area avversaria potrebbe chiamare troppo fuori anche il centrocampo e quindi allungare le distanze fra i reparti, perciò meglio lasciare che Piqué e Busquets portino palla fino al cerchio di centrocampo, ma tenendo sempre Rossi e Ruben dietro la linea della palla, vicino alla mediana, che così non deve staccarsi troppo dalla difesa. Una scelta che dà i suoi frutti, grazie alla capacità di sacrificio degli esterni Borja Valero e Cazorla e alla concentrazione del quartetto centrale (Marchena-Bruno i mediani e Gonzalo-Musacchio i difensori).

Ma grazie anche al fatto che al Barça, complici le assenze, mancano quegli automatismi che solitamente consentono la profondità. Messi parte in panchina (affaticato), Bojan idem, non ci sono Pedro e Xavi, quindi alla fine Guardiola sceglie Thiago Alcantara e Keita mezzeali e Iniesta e Afellay ai lati di Villa nel tridente, rispettivamente a destra e a sinistra.

È soprattutto qui che risiedono le difficoltà blaugrana: le due ali, vere o false che siano, si muovono male. Iniesta dovrebbe, anche a livello carismatico, surrogare Messi come giocatore determinante fra le linee: ma il blanquito, solitamente così intelligente nello scegliersi gli spazi nei quali fare male all’avversario, si limita però ad appoggi insignificanti: parte da destra, retrocede, viene incontro al portatore, ma lo fa sempre davanti ai centrocampisti del Villarreal, e mai alle loro spalle.

Sull’altra fascia invece Afellay non ha ancora del tutto chiari i movimenti richiesti a un esterno d’attacco del Barça. A inizio azione apre bene il campo restando largo per ricevere il cambio di gioco, questo sì, ma il problema è che troppo spesso rimane lì, non sa leggere il momento in cui smarcarsi sulla trequarti o tagliare verso l’area di rigore, col risultato di bloccare Adriano quasi con una marcatura a uomo. Inoltre, quando riceve il pallone, opta sin troppe volte per il cross, un’opzione quasi mai contemplata nel manuale dell’ala blaugrana (i terzini sì, hanno licenza di crossare).

In questo modo il Barça si limita a un controllo sterile: Thiago si propone parecchio, ma davanti a lui non ci sono opzioni di passaggio credibili al di là della verticalizzazione poco convinta per Villa. Positivo comunque il canterano, del quale non sorprendono da tempo né la faccia tosta né le caviglie di gomma (uno spettacolo curioso e difficilmente riscontrabile in natura il movimento con cui bruscamente cambia direzione e dà il passaggio filtrante d’esterno).

Dall’altro lato, il Villarreal è una delle poche squadre in Europa che possono giocare da pari a pari con la macchina da guerra culè: i giocatori di Garrido possono recuperare palla, eludere il primo pressing, alzare la testa, cambiare fronte al gioco e costringere il Barça a correre verso la propria porta. Borja Valero (enorme temporada) si segnala ancora una volta, anche se le azioni nascono più da palle perse con leggerezza dai blaugrana, cui seguono contropiedi di Giuseppe Rossi. L’italiano filtra due volte (il Busquets difensore non è irreprensibile), ma in entrambe le occasioni Valdés vince il duello. Comprendendo la parata d’istinto su Cazorla negli ultimi minuti, il portiere catalano risulta ancora una volta decisivo nelle occasioni decisive. Non il miglior portiere del mondo, ma il miglior portiere per il Barça.

Nella ripresa, non cambia tanto il gioco quanto piuttosto la determinazione degli uomini di Guardiola. Determinazione e talento, perché Pep inserisce Messi per Keita arretrando Iniesta. Leo al centro, Villa leggermente spostato a destra. Se la profondità non arriva dai movimenti collettivi, aumenta perlomeno la capacità di creare superiorità dal nulla saltando l’uomo. Dai e dai, arriva il gol di Piqué, contestato dal Villarreal (dall’angolazione del replay però non riesco a capire se al momento del controllo la palla passi dal petto al braccio): potrebbe risultare uno dei momenti-chiave della stagione.

FOTO: elpais.com

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