domenica, maggio 29, 2011

Il calcio al suo massimo.


Non avrà conseguito il Triplete, ma proprio non c’è confronto fra questo Barcelona e quello 2008-2009. Fra questo e tutti gli altri del decennio, o perlomeno con tutti i Barça e le squadre spagnole che i miei occhi hanno potuto vedere (l’unico strumento al quale mi posso affidare, non posso proprio spingermi a confronti con tutti i tempi e tutte le galassie come fanno i commentatori più moderati).

Una partita perfetta che consacra una squadra perfetta (o quasi). L’impressione è che pur giocando contro un signor avversario che ha retto dignitosamente per il primo tempo, il Barça fosse semplicemente troppo forte. Anche dopo aver subito l’1-1, ha ripreso a giocare giocare giocare fino a quando i gol (potevano essere pure di più) non sono cascati dall’albero come un frutto maturo, per pura accumulazione di occasioni, prodotte in quantità inusuale per la finale di quello che è il torneo più difficile del mondo.

È il coronamento ideale della stagione nella quale se vogliamo Guardiola ha rischiato di più: mentre il Real Madrid si faceva più temibile con una campagna acquisti faraonica e il miglior allenatore del mondo, Pep ha estremizzato il suo progetto con scelte discusse ma che a conti fatti hanno pagato.

Liberarsi di una mela marcia come Ibrahimović, anche a costo di evidenziare scelte di mercato talvolta un po’ lunatiche oltre che finanziariamente svantaggiose, ridurre la rosa all’osso per integrarla al massimo coi possibili apporti in corsa della cantera, il caposaldo di questo ciclo assieme all’idea di gioco consolidata da vent’anni. Puntare tutto su questo, oltre che su un certo signor Messi, attorno al quale è stato costruito l’intero sistema tattico, quest’anno come non mai.

L’esaltazione di Messi falso centravanti è stata l’esaltazione di una squadra che fra fine 2010 e inizio 2011 ha giocato il miglior calcio possibile (più ancora del Clásico vinto 5-0, sono autentici capolavori le partite con Osasuna e Espanyol, otto gol a due squadre che pure avevano fatto tutto il possibile per mettere in difficoltà i blaugrana, con un pressing alto da manuale).

Poi i catalani hanno un po’ tirato il freno, giocando al risparmio o addirittura in maniera conservatrice (l’oscena semifinale del Bernabeu, condizionata dall’ingiusta espulsione di Pepe, è la dimostrazione di come si possa giocare un calcio molto difensivo anche col 70% di possesso-palla), però mantenendo sempre una saldezza mentale impressionante, fino all’apoteosi di ieri. Per fortuna, niente polemiche, simulazioni, risse e perdite di tempo. Solo calcio. Al suo massimo.

Importanti assenze da entrambe le parti: Guardiola preferisce lasciare in panchina Puyol, confermando Mascherano difensore centrale e riproponendo Abidal terzino sinistro. Ferguson invece deve fare a meno di Fletcher, ed è la scelta che ha maggiori ricadute tattiche. Per le caratteristiche dello scozzese, una mezzala molto adatta a pressare e ripartire, e perché forse influenza la scelta del modulo, un 4-4-2 forse un po’ troppo audace, con Giggs centrale di centrocampo, Park a sinistra e Rooney di punta con Chicharito. Quindi niente Rooney esterno sinistro (con Park mezzala) e niente 4-5-1, una delle ipotesi della vigilia.

C’è da dire che nei primi 10 minuti la cosa sembra funzionare (come due anni fa all’Olimpico), perché le due punte pressano i due difensori centrali blaugrana, tutta la squadra accompagna e sembra più reattiva, arriva prima sul pallone e porta la contesa nella metacampo avversaria, appoggiandosi su Rooney per le ripartenze.

Il Barça fatica a piazzarsi, e in due occasioni viene anche sorpreso, al 7’un rinvio di Van der Sar che obbliga Valdés a un uscita spericolata su Rooney (centrali disposti male, troppo larghi, Mascherano sorpreso), al 9’, su una palla persa a centrocampo, una fantastica verticalizzazione a pelo d’erba di Giggs ribalta l’azione in un lampo e pesca sempre Rooney, quasi facendo combinare un pasticcio a Piqué e Valdés.

Ma la strategia dello United ha anche i suoi rischi: questo Barça rispetto a quello di due anni fa, ha molte più soluzioni per uscire dalla sua metacampo coi primi passaggi, e pressarlo così alto, se può creare una sorpresa iniziale, rischia di allungare la squadra quando il Barça riesce a far filtrare qualcuno di questi primi passaggi.

L’alternativa a disposizione di Ferguson era insomma quella fra aggredire subito i difensori centrali del Barça o viceversa aspettare un po’ più dietro, all’altezza del cerchio di centrocampo, e lì pressare con due mezzeali su Xavi e Iniesta, senza farli ricevere comodamente e costringendo per questa via anche Messi a retrocedere troppo e limitare un po’ la sua efficacia. Da qui la possibilità del 4-5-1 di cui sopra, per pareggiare numericamente il triangolo attorno al quale gira tutto il Barça.

Invece Ferguson ha scelto la prima opzione, e gli è andata male. Una volta che ha trovato le distanze giuste e i primi passaggi coi difensori, il Barça ha approfittato di un contesto ideale per il triangolo Xavi-Iniesta-Messi. A differenza del Clásico in semifinale, i blaugrana hanno giocato fino in fondo il loro calcio senza speculare.

Una spia la posizione di Alves: mentre a sinistra Pedro restava largo, a destra era il brasiliano a partire in posizione molto avanzata, con Villa che a destra del tridente assumeva una posizione molto meno rigida rispetto alla semifinale, tagliando spesso e volentieri centralmente, fra Evra e Vidić. Il movimento di Alves costringeva Park a fare il secondo terzino, completamente escluso dalla battaglia in zona centrale. Il risultato è che per Carrick e Giggs rimaneva troppo campo da coprire. Troppo davvero. Uno spostamento laterale e subito sbucava un altro uomo incustodito al centro.

Il Barça trova sempre l’appoggio e Xavi-Iniesta-Messi fanno il bello e il cattivo tempo. Uno viene incontro, l’altro si smarca fra le linee, l’altro ancora si defila leggermente, pronto ad attivare un altro spazio libero. Se non riescono ad avanzare, ricominciano da capo la loro rotazione infernale, e se magari, tu centrocampista avversario, all’inizio riesci un po’ a seguirli, al trecentosettantacinquesimo passaggio di fila giustamente ti rompi anche un po’ le palle e lasci che la natura faccia il suo corso.

Una volta che gli esterni culè gli hanno sgombrato per bene la zona centrale, difendere i movimenti di questo triangolo richiede qualcosa di più della semplice concentrazione e disciplina tattica: richiede una dose anormale di intuito, tempismo e talento nello scegliere se rimanere dietro, temporeggiare o cercare l’anticipo. Il quartetto centrale dello United, formato dai due difensori (Ferdinand e Vidić) e dai due centrocampisti (Carrick e Giggs), non ci ha capito nulla, come confermato anche da Ferguson in conferenza stampa. I centrocampisti spesso andavano troppo alti ad accennare un pressing poco aggressivo e comunque votato alla sconfitta data l’inferiorità numerica, mentre i difensori centrali non sapevano mai se e quando accorciare.

Il risultato è che il Barça, potendo muoversi tra le linee, si è presentato un’infinità di volte al tiro dal limite dell’area. O comunque si è avvicinato fino a poter cercare la deviazione sottomisura, come quella di poco a lato di Pedro al 15’. Se non smarca l’uomo al limite dell’area (tiro da fuori di Villa al 19’), allora lo fa dentro l’area (ancora Villa, debole destro da posizione un po’ defilata al 20’).

Il gol è la logica conseguenza: al 26’ Giggs e Carrick si fanno ancora superare facilmente, in posizione avanzata, e Xavi ha una prateria. Il resto lo fa l’intelligenza del regista catalano, che decelera il giusto perché si crei lo spazio per l’assist: inizialmente guarda dall’altra parte, Vidić sbaglia perché si fa attirare troppo centralmente, (dove già si è spostato Evra che correttamente seguiva fino in fondo il taglio di Villa) perdendo così la marcatura di Pedro, libero di freddare Van der Sar dopo il tocco d’esterno smarcante di Xavi.

La partita sembra francamente in discesa, ma a sorpresa il carattere dello United e Rooney rimettono tutto in discussione. Al 33’ c’è una rimessa laterale nella metacampo del Barça: una situazione che offre migliori riferimenti per pressare rispetto a quando la palla è già in movimento. I giocatori inglesi chiudono la morsa sulla trequarti, Rooney chiede un uno-due velocissimo a Carrick che lo libera alle spalle di Busquets, poi altro uno-due con Giggs (leggermente in fuorigioco) e perfetta conclusione all’incrocio. Un lampo di classe.

Tuttavia, la partita rimane quella, il Barça non si perde d’animo perché sa di avere un netto vantaggio sul piano tattico.

Un'altra situazione esemplifica l’inferiorità fra centrocampo e difesa dello United: al 42’ Carrick e Giggs ancora sono troppo distanti dalla difesa, e cosa ancora peggiore, sono sulla stessa linea quando parte il passaggio di Busquets. Un passaggio semplice che fa fuori un intero reparto: Vidić fa una brutta figura uscendo a vuoto dalla difesa, Messi lo salta e in area piccola manca la deviazione che chiuderebbe il triangolo con Villa.

L’intervallo non cambia nulla: il Manchester United non è più convinto e non ha nemmeno nuove soluzioni tattiche. Anzi, la situazione peggiora, perché se il primo tempo era stato comunque bellissimo e con alcune fasi di equilibrio non solo nel risultato, la ripresa è una grandinata di palle gol blaugrana, coi Red Devils ormai sprofondati nella loro area.

Un cambio a dire il vero Ferguson lo fa, scambiando le posizioni di Park e Giggs. Ma anche qui si peggiora: il coreano al centro ha più corsa del gallese ma finisce col correre a vuoto, pure lui preso in mezzo; Giggs a sinistra invece non ha proprio il passo (e la predisposizione mentale) per seguire Alves. Se prima quindi il movimento di Alves tagliava fuori Park dalla battaglia del centrocampo e regalava campo a Xavi-Iniesta-Messi, ora con la scarsa copertura di Giggs il Barça ha anche l’opportunità di verticalizzare direttamente su Alves.

Sfruttando il classico movimento nello spazio lasciato dal taglio verso il centro dell’ala destra (Pedro durante tutta la stagione, Villa in questo caso), il brasiliano si presenta davanti a Van der Sar al 51’, ma gli spara addosso. L’assedio si intensifica, e al 53’ Messi decide di prendersi gol, partita, coppa e Pallone d’Oro (il prossimo, il terzo consecutivo). Solita dinamica: Giggs e Evra tenuti in ostaggio da Alves e dal taglio di Villa, superiorità in zona centrale (Iniesta-Messi-Xavi vs. Carrick-Park), difensori dello United senza margini per uscire a contrastare Messi che prende palla e scarica un sinistro rabbioso: criticato Van der Sar nell’occasione, ma va detto che il portiere olandese era coperto e, per quanto centrale, un pallone che sbuca fra tante gambe e rimbalza prima del tuffo non è così facile.

Il Barça tracima: ancora Messi in azione individuale al 62’ (Van der Sar para coi piedi), sempre Alves nello spazio non coperto da Giggs al 64’ (ma il brasiliano preferisce non tirare e cerca Messi, che obbligato ad un debole colpo di tacco, vede respinta prima della linea di porta la sua conclusione), poi al 65’ l’ennesimo tiro dell’ennesimo uomo smarcato sulla trequarti, in questo caso un collo-esterno di Xavi (stavolta buon intervento di Van der Sar). Tre minuti e arriva il terzo gol: ancora Messi protagonista, che parte da destra in azione individuale, attira mezza difesa su di sé e così libera lo spazio per Villa al limite dell’area, che ha il tempo di alzare la testa e piazzare il destro a girare sul primo palo. Golazo.

Da qui al finale vanno registrati solo un tentativo di Rooney, simile al gol di Villa ma terminato sopra la traversa, e un rigore non visto dall’arbitro per fallo di mano di Villa. Il resto sono cambi disperati (Scholes per Carrick) o per perdere tempo prima del fischio finale (Keita per Villa, Puyol per Alves e Afellay per Pedro).



BARCELONA (4-3-3)

Valdés: praticamente mai impegnato fra i pali (l’unico tiro in porta, quello del gol di Rooney, non si può neanche cercare di prenderlo), importante però in quel paio di uscite che rimediano alle incertezze iniziali della linea difensiva. Voto: 6.

Daniel Alves: Pedina importante. La sua posizione annullando Park regala ampiezza e opportunità di gioco centralmente al trio Xavi-Iniesta-Messi. La qualità nel palleggio poi gli permette le opportune variazioni sul tema. Contro Giggs nella ripresa trova più facilmente il fondo. Voto: 7,5. (dall’ 88’ Puyol)

Mascherano: Parte decisamente male, fatica sia a coordinare i movimenti con Piqué che a impostare dalle retrovie. Poi prende le misure e prende anche un po’ di coraggio palla al piede, con la posizione di Alves che gli permette di allargarsi sul centro-destra, eludere il pressing degli attaccanti avversari e giocare palla più comodamente per i centrocampisti. Voto: 6.

Piqué: ovviamente conosce più il mestiere di Mascherano, è più preciso nelle coperture e anche nel difendere i movimenti incontro al pallone degli attaccanti avversari. Come al solito, qualità palla al piede. Voto: 6,5.

Abidal: ha vissuto una stagione (la sua migliore da quando è al Barça, con un rendimento da centrale sorprendente) come se fossero tre o quattro tutte insieme, con quello che ha passato. Bello perciò avergli fatto alzare per primo il trofeo. In questa partita ha eseguito il suo compito senza sbavature, con grande concentrazione e intensità. Più bloccato rispetto ad Alves per caratteristiche e perché su quella fascia c’era già Pedro ad assicurare ampiezza, perfetto nel primo pressing, ha messo la museruola a uno degli avversari più temibili, Valencia. Voto: 7.

Xavi: piuttosto che ripetervi la solita minestra, salto direttamente al Voto: 8,5.

Busquets: Rooney qualche grattacapo glielo crea in quella zona, ma la supremazia tattica della sua squadra, riversata in avanti e con l’avversario schiacciato, gli crea un contesto comodo, di pressing immediato e palla rubata lontano dalla propria area. Continuità di gioco alla quale anche lui dà il suo apporto, da utile sponda per i tre geni. Voto: 6,5.

Iniesta: un po’ meno stratosferico di Messi e Xavi (discorso che vale per tutta la stagione), ma anche lui c’è dentro fino al collo. Non tanti spunti in accelerazione dei suoi, ma dominio totale del pallone, degli spazi e dei tempi del gioco. Voto: 7,5.

Villa: una buona partita, anche al di là del bel gol che dà una dimensione diversa a una stagione un po’ contraddittoria, caratterizzata da un contributo alterno al gioco di squadra. Stavolta massima disciplina, impegnando Evra e i centrali per il bene non suo ma dei tre geni, e quindi di tutta la squadra. Voto: 7. (dall’ 86’ Keita)

Messi: Per usare un’espressione spagnola, la sua partita è una locura. Una follia, ma in senso positivo. Accontenta sia il criterio superficiale di chi deve fare i titoli di giornale (quindi se Messi fa un gol decisivo nella gara più importante, allora è vero che è il più forte), sia chi si addentra più in profondità e vede come la sua presenza condiziona ogni singolo momento del gioco. Se infatti il suo concorrente Cristiano Ronaldo, fresco di 40 gol nella Liga, è il giocatore perfetto, la somma aritmetica di tecnica, fisico e velocità, Messi è semplicemente IL giocatore. Il Messi di 3 anni fa non ha nulla a che vedere con quella di adesso: allora poteva anche essere decisivo, ma era solo accelerazione palla al piede e dribbling; ora invece si diverte a fare a pezzi gli avversari giocando sul cambio di ritmo, non solo da normale a veloce, ma anche da veloce a lento. Procede a piccoli passi e chiama a sé l’avversario, che come casca, casca male: se rischia l’intervento, Messi scappa via con la sua rapidità, se invece temporeggia Messi continua ad avanzare. Oppure prende palla, aspetta che gli avversari gli si avvicinino e quindi serve il compagno smarcato. E poi, quella posizione un po’ da centrocampista e un po’ no, è illeggibile: non può essere contrastato dai centrocampisti avversari, ma parte sufficientemente lontano da rendere azzardato qualsiasi tentativo dello stopper di andargli incontro. Ogni sua azione è un dilemma quasi irrisolvibile per chi deve difendere. Voto: 9.

Pedro: Rispetto a Villa ha consegne tattiche più rigide, deve restare largo e impegnare Fabio, senza nemmeno giocare tanto l’uno contro uno. Per questo lo si vede meno del solito sia negli appoggi tra le linee che nei tagli verso l’area di rigore, anche se proprio su uno di questi suoi movimenti classici sfiora il gol nel primo tempo. Voto: 6,5. (dal 92’ Afellay)

MANCHESTER UNITED (4-4-1-1)

Van der Sar: Chiude la carriera, e una delle sue migliori stagioni, con una serata amara. Piccola, non grande, la sbavatura sul gol di Messi. Voto: 5,5.

Fabio: Poco coinvolto, la partita non si decide nella sua zona. Poca personalità comunque. Esce per infortunio. Voto: 5,5. (dal 69’ Nani)

Ferdinand: Si espone meno di Vidić, inevitabilmente soffre perché si vede arrivare gli avversari, senza alcuna rete di protezione dal centrocampo. Voto: 5,5.

Vidić: Brutta partita, evidenzia alcuni limiti. Centrale fortissimo quando come avversario ha un centravanti classico, che gioca sul corpo a corpo e non si allontana dalla sua zona, fa molta più fatica contro attaccanti che invece svuotano l’area. Il Barcelona è la squadra ideale per portarlo all’esasperazione, perché non fa un cross che sia uno e quindi il suo gioco aereo non serve, e perché poi ha un falso centravanti, che costringe Vidić a giocare lontano dalla zona e dalle situazioni che predilige. Il serbo ha difficoltà a leggere ed anticipare certi movimenti, e quando deve uscire dalla linea difensiva o provare l’anticipo, non sempre evita la figuraccia. Voto: 5.

Evra: il migliore dei difensori inglesi. Il più attento tatticamente, e anche il più reattivo nell’intercettare e riproporre, anche se a dire il contesto collettivo gli consente di proporre ben poco. Voto: 6.

Valencia: una delle delusioni della serata. In gran spolvero in questa finale di stagione, aveva il passo e i movimenti per fare male al Barça, ma fra la partita quasi di esclusivo contenimento che è costretto a giocare e un Abidal che non gli lascia un metro il panorama diventa sconfortante. Voto: 5.

Carrick: Tagliato fuori da tutto. Preso in mezzo in fase difensiva, impalpabile in quella di costruzione. Voto: 5. (dal 76’ Scholes)

Giggs: Piange il cuore a stroncare così una tale leggenda, ma questa non poteva essere la sua partita. Alla vigilia avevo promosso la sua titolarità, ma i fatti mi hanno dato torto marcio: troppo contraria alle sue caratteristiche una gara di così elevato sacrificio difensivo. Anche se vuole, non ci può essere: non ha l’intensità per pressare, e non ha l’attitudine né per tappare le linee di passaggio avversarie né per inseguire il terzino avversario come dovrebbe fare nella ripresa. Lo United tiene troppo poco palla per giustificare la sua presenza. Unica perla il lancio per Rooney nell’illusorio inizio di partita. Voto: 4,5.

Park: A differenza di Giggs evita il 4,5, perché almeno segue sempre Alves quando gioca sulla fascia. Però la sua presenza stavolta risulta inutile. Per caratteristiche, da secondo terzino diventa un giocatore in meno su cui contare per la transizione offensiva (non può rilanciare il gioco), e contro un avversario come il Barça questo è uno dei fattori che determinano uno United così schiacciato nella sua area, senza possibilità di ripartire una volta riconquistata palla. Da centrale nella ripresa poi gira sempre a vuoto sul fraseggio. Corre anche troppo. Voto: 5.

Rooney: fa tutto quello che può. È in gran forma, lo dimostrano il gol e anche alcuni scatti sulla trequarti che non trovano seguito perché tutto lo United non può proporre con continuità un gioco che lo supporti al di là di alcuni spunti isolati. Voto: 7.

Hernández: la sua profondità senza palla poteva essere una chiave per allungare la difesa del Barça a e aprire spazio agli inserimenti dei centrocampisti, in una gara fatta di aggressività e ripartenze, ma in tutta la partita lo United non può proporre una transizione offensiva che lo possa coinvolgere. Voto: 5.


FOTO: marca.es

Etichette: , ,

domenica, maggio 22, 2011

Deportivo, ora è davvero finita.

Ancora il Valencia, ancora il maledetto Valencia. Senza nessuna offesa (naturalmente) nei confronti dell’equipo che, è sempre questo l’avversario che segna le più grandi “tragedie” del Deportivo. Nel 1994 il rigore sbagliato da Djukic allo scadere che diede la Liga al Barcelona, ora la retrocessione. Un colpo comunque tremendo, per quanto potesse essere preventivabile.

Non era infatti un mistero il progressivo avvicinamento alla soglia fatidica operato dai galiziani nelle ultime stagioni: indebitatosi paurosamente per sostenere le proprie ambizioni fra fine ’90 e inizio 2000, il Deportivo ha potuto raccattare sul mercato soltanto prestiti o giocatori in scadenza che, in contemporanea con lo smantellamento del Superdepor che fu, hanno portato un drammatico calo qualitativo.

Lo stesso tecnico Lotina, con il realismo che da sempre lo contraddistingue, aveva ammesso di ritenere veri e propri miracoli le salvezze tranquille delle passate stagioni, ottenute a suo dire soltanto con qualche contropiede e una manciata di gol sui calci piazzati. Sempre raschiando il fondo del barile, con ripetuti cambi di modulo e correzioni in corsa (tipo la difesa a cinque) che hanno soltanto rinviato il verdetto.

La partita di ieri riassume le debolezze di questa squadra: il Depor non ha nemmeno giocato male, ma ha denunciato la solita inconsistenza in area avversaria e una certa mancanza di aggressività in una fase difensiva pure abbastanza ordinata.

Una partita molto fluida, con due squadre ben lontane dall’essere schierate in maniera speculare, e quindi, senza che una pedina potesse annullare l’altra, possibili situazioni di superiorità da entrambe le parti.

Emery con la difesa a 5 sperimentata di tanto in tanto: Topal arretrato in mezzo a David Navarro e Dealbert, Bruno e Jordi Alba terzini molto avanzati, Banega e Albelda in mediana, Mata e Joaquín esterni e Aduriz unica punta. Dall’altra parte Lotina difende a 4 ma invece che per il 4-2-3-1 consueto opta per il rombo: Juan Rodríguez e Guardado ai lati di Valerón, ispiratore dei due attaccanti, Riki e Adrián.

Il potenziale vantaggio per il Valencia derivava dagli esterni, e dalle incertezze che suscitavano nel Depor al momento di marcare, soprattutto a destra. Bruno avanzava costringendo o Guardado ad allargarsi eccessivamente oppure Manuel Pablo a venirgli incontro. Sia in un caso che nell’altro il Valencia trovava l’uomo libero, vuoi Banega/Albelda in mezzo vuoi Joaquín alle spalle di Manuel Pablo o in zone più intermedie della trequarti. Proprio da questo secondo movimento è nato il gol di Aduriz (marcato a vista da Lopo) ad inizio gara.

Anche il Depor però aveva la sua situazione potenzialmente favorevole: gli stessi Guardado e Manuel Pablo che soffrivano a chiudere su Bruno, chiamavano fuori il terzino valenciano, alle cui spalle svariava Adrián o si defilava Valerón per creare la superiorità numerica. Con la difesa del Valencia attirata verso quel lato, si creavano più spazi al centro per gli inserimenti dal lato opposto. Arrivato sulla trequarti però il Deportivo ha approfondito poco questo discorso, limitandosi un po’ troppo al cross, opzione perdente sia per numero che per centimetri nell’area del Valencia.

Solo in quei momenti in cui si è acceso Valerón (non è servito a salvare la pellaccia neppure il grande finale di stagione del canario, il quale ha annunciato di voler continuare un altro anno e guidare la squadra anche in Segunda) il Deportivo ha potuto mandare davanti al portiere i suoi attaccanti. Qui le dolenti note: la manovra della squadra ha risentito positivamente della disponibilità in pianta stabile di Valerón e Guardado in queste ultime giornate, ma l’altro problema, quello del buttarla dentro, non è mai stato risolto. Adrián 7 gol, Riki 3, Lassad 5, l’acquisto invernale Xisco 2: i numeri non mentono. Tutti buttati nella mischia durante i 90 minuti, con identico insuccesso. Riki confusionario, il centravanti dell’Under 21 Adrián bravo a prepararsi la conclusione ma drammaticamente impreciso, come spesso gli capita.

Primo tempo fluido, secondo condizionato dalla crescente stanchezza e disperazione del Deportivo: i giocatori di casa rimangono oltre la linea della palla, non ce la fanno più a inseguire l’avversario, che con un possesso più insistito abusa del giochino esposto in precedenza (trovare sempre l’uomo libero fra fascia e centro), pur senza nascondere la volontà di non affondare i colpi.

Le notizie dagli altri campi non obbligano il Deportivo a vincere (un semplice 1-1 basterebbe a spingere giù il Mallorca, che pure fino a un paio di giornate fa non era mai stato pienamente coinvolto nella lotta-retrocessione), ma i galiziani esausti e scoraggiati procedono per tentativi. Se è vero che sui calci piazzati e qualche altro episodio il gol potrebbe arrivare, è anche vero che il Valencia potrebbe tranquillamente chiudere la gara prima del 95’, quando Soldado, quasi chiedendo scusa, firma la sentenza.

Decisamente meno tesa l’altra sfida-salvezza, Real Sociedad-Getafe che pure era indicata nei pronostici come quella più decisiva. Meno tesa soprattutto dal 70’ inp oi, quando il passivo del Mallorca ormai si faceva incolmabile ed entrambe le squadre hanno ingannato l’attesa del fischio finale con una sfacciata melina. Prima però un bel brivido era corso lungo la schiena dell’Anoeta.

È stata la tipica partita fra due squadre che se la fanno sotto, quando si va ad impulsi ed ogni pallone scotta terribilmente fra i piedi. La Real ha iniziato puntando tutto su un pressing ultra-offensivo, mentre il Getafe, storicamente tendente al palleggio (nove volte su dieci sterile), sparacchiava lontano ogni pallone giocato dai suoi difensori. Peraltro sorprende la scelta di Míchel, che si gioca la stagione lasciando in panchina entrambi i suoi centrocampisti creativi, Casquero e soprattutto Parejo (già in panchina nella penultima con l’Osasuna). Però al 10’, un calcio piazzato dalla trequarti a rientrare di Albín (già acquistato dall’Espanyol per la prossima stagione), insidiosissimo, trova la zampetta malefica del Cata Díaz che rompe l’equilibrio.

Lo rompe perché il Getafe può ritirarsi e non esporsi al pressing alto, unica arma offensiva avversaria. La Real fa fatica manovrando dalle retrovie, confermando l’involuzione di tutto il girone di ritorno. Dopo l’Espanyol, i donostiarra nel girone d’andata erano stati fra le rivelazioni sul piano del gioco (splendida in particolare la prestazione casalinga col Real Madrid, immeritata sconfitta), imperniando il loro gioco su una trequarti ricca di talento, Xabi Prieto-Zurutuza-Griezmann.

Col trascorrere del campionato però, e le crescenti urgenze di classifica, la Real ha perso continuità di gioco, e anche ieri solo sporadicamente Xabi Prieto ha potuto dettare i tempi dalla fascia destra. La sostituzione di Zurutuza a fine primo tempo ha privato poi la stella della Real del suo miglior socio, quello con cui più frequentemente combina… e scombina lo schieramento difensivo avversario. Anche davanti per Tamudo gli anni passano, e in assenza di Joseba Llorente manca quel decimo di secondo giusto sottoporta o comunque quella pressione sulla difesa avversaria.

Fatto sta che sebbene nella ripresa dopo il cambio la Real perda ancora più fluidità di manovra, è proprio il sostituto di Zurutuza, Sutil (un esterno più da linea di fondo di Griezmann, che si sposta al centro della trequarti) a siglare il gol decisivo per la partita se non per la retrocessione (sarebbe comunque sceso il Deportivo).

FOTO: lavozdegalicia.es

Etichette: , , ,