lunedì, febbraio 06, 2012

Sevilla, dove sei?



Alla fine, Marcelino è saltato. Un giorno chiariremo se da genio incompreso o chissà cos’altro (ai limiti del surreale lo scambio di dichiarazioni avvenuto nelle ultime settimane fra lui e la squadra: da un lato il tecnico che in puro stile Marcello Lippi dice che le idee lui le ha ma sono i giocatori che non sanno metterle in pratica, dall’altro i giocatori che ribattono che…è vero!, invece che sentirsi offesi per essere stati accusati sotto sotto di scarsa intelligenza o scarsa professionalità, delle due l’una.

Il dato incontestabile è che si tratta di un altro fallimento per Marcelino dopo Zaragoza (anche se in quel caso la società aiutò molto…). L’ex enfant prodige delle panchine spagnole ha pagato il salto da squadre come Racing e Recreativo a scenari nei quali il suo calcio prevalentemente reattivo si è rivelato un po’ limitato.
Però la verità è che questo suo Sevilla non è nemmeno una di quelle squadre solide ma che cascano dall’asino una volta che gli tocca attaccare difese schierate: questo Sevilla semplicemente non è una squadra, non ha uno straccio di identità.
Non sa iniziare un’azione, far passare il pallone dalla difesa al centrocampo, non smuove la difesa avversaria perché ogni suo attacco finisce esattamente nella zona in cui è iniziato; non ha il minimo controllo dei tempi del gioco e quindi spesso si trova spezzato a palla persa. Alla debolezza in transizione difensiva, si aggiunge poi una condotta a difesa schierata tutt’altro che irreprensibile. Sorprendente per chi si ricordava le migliori versioni di Marcelino, quei 4-4-2 in cui i giocatori sembravano quasi legati da una corda invisibile.

Il centrocampo fa acqua da tutte le parti: Medel è generoso nel pressing, dinamico, ma ha i suoi limiti, anche se il vero problema è il suo compagno di reparto. Il Sevilla ha puntato tutto in sede di mercato sull’adattamento al ruolo di giocatori più portati a muoversi sulla trequarti o anche a partire dall’esterno, ovvero Trochowski e Rakitić. Un disastro in particolare il croato, che stenta addirittura a ricevere il pallone dai difensori ad inizio azione. Si badi bene, sia lui che Trochowski sono giocatori tecnici, ma essere tecnici non significa necessariamente saper interpretare e dirigere il gioco. Un fraintendimento che caratterizza praticamente tutti gli insuccessi delle ultime campagne acquisti, chiamando in causa quel Monchi un tempo mitizzato come direttore sportivo infallibile e ora diventato una sorta di Re Mida alla rovescia. Giocatori che abbondano di fisico (vedi Zokora) o tecnicamente buoni (prima di Trochowski e Rakitić, Romaric) ma che mancano di quella qualità invisibile eppure decisiva che fa giocare meglio i compagni oltre che loro.
Pessimi riscontri anche dagli innesti difensivi, Spahić al centro, nelle ultime partite rimpiazzato dall’eterna promessa Fazio, e Coke a destra.
Ed è anche difficile che Reyes possa rappresentare una soluzione: il gitano ha sempre dimostrato limiti nella posizione di trequartista, limiti nel trovare la posizione giusta e incidere sul gioco al di là degli spunti individuali, e li sta ribadendo, senza poter neppure giocare nella posizione preferita, ovvero a destra, dove più facilmente può prendere palla sul piede preferito e già girato verso la porta avversaria (a sinistra non sa giocare a cercare il fondo), ma dove gioca un certo Navas.
Come soluzione “la base”, ovvero stampa locale e tifosi, invocava la titolarità stabile del canterano Campaña, che ha caratteristiche di regista e in ogni caso (anche senza conoscerlo così bene come nel mio caso) ben difficilmente può fare peggio di Rakitić. Ma Marcelino rispondeva che il ragazzo non è ancora pronto.
L’unico pilastro su cui poggiare il gioco è così (con Kanouté agli sgoccioli)il superlavoro di Negredo, spalle alla porta fino a zone molto arretrate per poi tornare a buttarsi per primo in area di rigore. Con Manu del Moral buon giocatore ma sempre comprimario, Babá nuovo acquisto circondato da pesante scetticismo e il fantasma del cugino dello zio del gemello ubriaco di Perotti (l’involuzione dell’argentino lascia a bocca aperta), molto, forse troppo, dipende da Negredo e Reyes. E da Míchel, nuovo tecnico dalle caratteristiche diverse da Marcelino (non ultra-offensivo, ma più portato al possesso-palla), chiamato a garantire un posto europeo che eviti un ridimensionamento che altrimenti rischia di diventare definitivo.

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